Chief Information Officer, evoluzione e competenze

Gabriele Obino, Regional VP and GM SE & Middle East di Denodo

La ricerca di Denodo, in collaborazione con IKN Italy, indaga e svela l’approccio delle aziende italiane alla Data Governance e come si organizzano per gestire i dati. Negli ultimi anni, le organizzazioni si sono evolute e gli ecosistemi di dati sono diventati più complessi. Oggi i manager non possono più pensare di gestirli in modo tradizionale. Ormai è necessario disporre di figure professionali dedicate per rispondere alle nuove esigenze. Ciò nonostante, in Italia ben il 29% delle aziende dichiara di non avere ancora una persona che si occupi specificamente della governance dei dati.

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Data Governance, la ricerca Denodo sull’approccio delle aziende

Secondo l’indagine di Denodo anche nelle realtà in cui è prevista una persona che si occupa di Data Governance, spesso questa funzione è svolta da figure senza una formazione specifica. Tra queste emergono quelle del Chief Information Officer (26% del campione totale), considerata la più affine al ruolo, e del Chief Architect (3%). Solo meno di 2 aziende su 10 (19%) affermano di avere nel proprio organico un vero e proprio Chief Data Officer. Mentre il 23% dei rispondenti ha indicato come responsabile una figura ancora diversa. Ne risulta un quadro che mostra una gestione del tema non completamente strutturata, senza responsabilità chiare e condivise all’interno delle organizzazioni.

L’importanza del Chief Data Officer

Avere una persona capace di occuparsi di Data Governance può aiutare le aziende a perseguire diversi obiettivi. In particolare, tre i risultati che le organizzazioni intervistate sperano di raggiungere grazie a strategie di gestione dei dati efficaci:

  • riuscire a prendere decisioni sempre più accurate grazie a un’elevata qualità dei dati (19%);
  • facilitare la delivery delle informazioni e sostenere il loro uso con un approccio Self-Service (19%);
  • integrare in modo più agile tutte le informazioni distribuite, e spesso disperse, nei diversi sistemi al fine di migliorarne l’accesso e l’utilizzo (18%).

Da un lato emerge chiaramente un’esigenza di maggiore agilità e facilità nel percorso che porta i dati a chi li deve poi analizzare. Dall’altro lato, esistono problematiche riscontrabili in termini di Data Governance, che un Chief Data Officer contribuirebbe a eliminare. La ricerca di Denodo ha rilevato uno scenario ancora di sostanziale insoddisfazione. Conferma di una contrapposizione tra il Business, ovvero chi deve utilizzare i dati, e l’IT, che li mette a disposizione. Non è quindi un caso che il 26% dei rispondenti abbia riferito di riscontrare ciascuna delle problematiche evidenziate.

Qualità dei dati come strumento di crescita per il Business

L’84% delle aziende ritiene che la varietà delle fonti di dati influisca negativamente sulla qualità dell’analisi. E allo stesso tempo, che le aree in cui sono maggiormente necessari dati di alta qualità siano quelle legate ai clienti (25%), alle operazioni aziendali (24%) e alle vendite (20%). Consapevoli di questo, il 61% delle aziende sta valutando l’adozione di tecnologie di data virtualization per risolvere le sfide aziendali inerenti all’integrazione e gestione del patrimonio informativo.

Il contributo della Data Virtualization

La virtualizzazione dei dati, infatti, può dare un eccellente contributo, rappresentando non solo un punto unico di accesso ai dati. Oltre al luogo dove questi possono essere modellati e messi a disposizione di chi li deve utilizzare. Consentendo di raggiungere una sorta di ordine complessivo che va a beneficio del concetto stesso di qualità. Fondamentale è riuscire a dare agilità e semplicità al percorso, che parte da dove i dati risiedono e arriva fino a chi li deve utilizzare. In questo contesto si inserisce il cosiddetto approccio Self-Service all’uso e al consumo dei dati, che sembra essere ormai una realtà consolidata.

Anche l’utilizzo di Data Lake, ovvero repository centralizzati che consentono di archiviare grandi quantità di dati nel loro formato nativo, non è ancora molto diffuso nelle aziende italiane. Tanto che oltre un terzo delle organizzazioni (39%) non ne possiede. Se il 26% delle aziende dispone di un Data Lake nel Cloud, il 22% ne ha uno On-Premise, il 13% preferisce una soluzione ibrida. Molto più successo riscontra invece la gestione dei dati nel cloud, verso cui i timori paiono essersi mitigati. Più di 4 aziende su 5 (84%) affermano infatti di avere in corso un’iniziativa Cloud. Di queste, però, solo il 29% indica di avere più della metà dei propri dati nel Cloud, a conferma che la migrazione è un percorso ancora nelle fasi iniziali.