Fabio Zoboli, Head of publishing development – Southern Europe di Ogury, analizza le possibilità dei publisher contro i due big del digitale.
Il termine editore può avere significati differenti e riferirsi a realtà diverse: qualcuno lo ricondurrà a colossi del calibro del New York Times o Condé Nast, per le nuove generazioni si tratta dei publisher digitali come Freeda o di siti come Reddit, dove a generare i contenuti sono gli utenti.
Ad ogni modo, chiunque lavori nel media e nella pubblicità sa che è impossibile non prendere in considerazione i due maggiori “editori”: Google e Facebook si spartiscono infatti la maggior parte del mercato, del pubblico, dei lettori e, di conseguenza, dei ricavi.
La pandemia ha aumentato esponenzialmente questo duopolio, come viene genericamente chiamato nel settore. Secondo un articolo del New York Times del 18 agosto:
“Il traffico su questi siti registrava già grandi volumi prima della pandemia, ma a marzo, con il lockdown e l’obbligo di restare a casa, le visite giornaliere hanno visto un ulteriore incremento: secondo le stime del provider di dati online SimilarWeb, Facebook e YouTube hanno segnato rispettivamente +15% e +10%. Facebook ha inoltre dichiarato che, a livello globale, il numero di utenti giornalieri dei suoi servizi a giugno 2020 ha registrato +12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”.
Come può un altro publisher pensare di competere? La risposta è: non può. O almeno non allo stesso livello. Gli editori devono puntare su un proprio valore aggiunto, una loro unicità, qualcosa che nessun altro possa replicare.
Editoria digitale – La concorrenza
Agli editori che hanno chiara la propria mission e possono contare su una forte offerta pubblicitaria, le opportunità non mancano di certo.
Considerato il costante aumento di tempo speso sui dispositivi mobile, indipendentemente dall’età e dal potere economico, e la necessità da parte degli inserzionisti di essere dove i loro potenziali clienti si trovano, l’editore intelligente offre ciò che i giganti non possono dare: contenuti curati e di qualità, un ambiente pubblicitario non affollato e un maggiore livello di brand safety.
I due giganti soffrono infatti della loro stessa grandezza, perché su queste piattaforme gli inserzionisti faticano a spiccare.
Si stima che Facebook da solo conti circa 9 milioni di advertiser, un numero altissimo rispetto a qualsiasi altra società o piattaforma. Tra così tante marche, come può emergere un brand?
Per questo motivo gli altri publisher, dai digitali come Vox Media ai tradizionali come Hearst, dovrebbero stare tranquilli nel sapere che il loro pubblico, più contenuto numericamente, possa generare qualcosa che i giganti non riescono a fare. Anche il gaming, un’altra area di particolare successo nell’editoria digitale, gioca secondo le proprie regole, ma di questo ne parleremo più avanti.
Editoria digitale – La qualità conta
Per prima cosa, i publisher al di fuori di Google e Facebook spendono milioni per creare contenuti originali, curati e di qualità. Una differenza abissale dai contenuti imprevedibili generati dagli utenti che si trovano sulle due piattaforme di cui sopra. A fare la differenza è la qualità, che attrae e coinvolge utenti realmente interessati. Questo è il punto di inizio per monetizzare.
In secondo luogo, gli inserzionisti che scelgono publisher indipendenti possono contare su ambienti più sicuri per il brand. La preoccupazione legata alla brand safety online ha avuto origine con l’accostamento di annunci a contenuti violenti. Allo stesso modo, Facebook sta trovando resistenza da più parti per i suoi video in-stream che sfidano YouTube. Nella nostra società attuale, dove la viralità la fa da padrone, la brand safety rappresenta un elemento fondamentale per i brand e i danni reputazionali non sono ammessi.
Opportunità straordinarie – Editoria digitale
In ultimo, ma non per questo meno importante, lavorare con le media company aumenta la memorabilità del brand. La personalizzazione gioca un ruolo fondamentale, dal momento che i publisher possono disegnare l’esperienza pubblicitaria.
Annunci interattivi e basati sulla scelta dell’utente, come il Video Chooser di Ogury, permettono al consumatore di scegliere l’annuncio che vogliono visualizzare e portano a un aumento della memorability del 300%. I publisher offrirebbero takeover sensazionali, formati personalizzati e annunci ben visibili, mentre il brand beneficerebbe dell’assenza di competitor e, di conseguenza, i suoi annunci spiccherebbero. Non sono gli utenti visualizzeranno le ad, ma le noteranno proprio.
Un’area dell’editoria mobile che sembra resistere a questo duopolio digitale e gioca secondo le proprie regole, è quella del gaming. Questo perché da un lato interessa una audience tanto vasta quanto demograficamente diversa (il tempo speso nel gaming cresce di anno in anno).
Dall’altro, la sua peculiarità consiste nell’accettare il cannibalismo aziendale: la maggior parte dei gaming advertiser sono altri giochi che cercano di conquistare il pubblico dei competitor. I publisher del gaming offrono agli inserzionisti qualcosa di unico: annunci full screen che vengono inseriti perfettamente all’interno dell’esperienza di gioco, tra livelli diversi ad esempio. Queste pubblicità hanno il 100% di share of voice e una impareggiabile visibilità, prova del fatto che i piccoli editori possono offrire qualcosa che i giganti non sono in grado di fare, puntando sulle nicchie di mercato.
C’è un ultimo messaggio che voglio lanciare agli editori: non mollate. Investite sulla vostra unicità, su ciò che sapete fare meglio. Potete avere successo nella vostra nicchia. Nonostante i giganti cerchino di prendersi tutto, nella vostra nicchia potete essere i migliori e chissà, magari un giorno avrete la meglio anche su di loro.