Per gli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligencel e aziende italiane il prossimo anno continueranno a credere e investire nel digitale. Queste alcune delle conclusioni della ricerca degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con PoliHub, presentata al convegno “Innovazione Digitale 2020: imprese e startup verso l’open company”.
Attraverso le risposte di oltre 800 Chief Innovation Officer, Chief Information Officer, imprenditori e C-Level, l’indagine ha fotografato l’innovazione digitale nelle imprese italiane in termini di risorse impiegate e modalità di governance, studiando, da un lato, il livello di adozione di nuovi modelli per gestire l’innovazione e, dall’altro, l’evoluzione della collaborazione tra startup e aziende consolidate in Italia.
Nel 2020 il budget ICT aumenterà in media fra il 2,8% e il 2,9%, trainato dalle grandi imprese, che prevedono un incremento nel 45% dei casi, concentrato soprattutto su tecnologie come Big Data Analytics, Cyber Security e sistemi ERP, mentre solo il 23% delle PMI destinerà più risorse, in particolare per sistemi ERP, CRM e Mobile Business. Per gestire i processi di innovazione le imprese prevedono di aprirsi a nuove idee e a modelli organizzativi collaborativi, provenienti in particolare da startup, università-centri di ricerca, aziende non concorrenti.
Un fenomeno che è già realtà tra le grandi imprese: il 73% ha avviato iniziative di Open Innovation e circa i due terzi hanno attivato collaborazioni con startup (35%) o hanno in programma di farlo (27%). Mentre appaiono ancora in ritardo le PMI, fra le quali solo il 28% adotta pratiche di innovazione aperta e appena il 4% lavora insieme alle nuove imprese innovative.
L’Innovation Manager sta iniziando ad entrare nelle aziende, con oltre il 30% delle grandi imprese che ha già creato un ruolo o una Direzione Innovazione. Il MISE ha introdotto un albo dedicato a questa figura professionale e un voucher a fondo perduto per le PMI. Una misura importante, anche se i 75 milioni di euro complessivamente stanziati permetterebbero di sostenere non più di 2000 imprese: oggi ne è a conoscenza appena il 32% delle PMI e fra queste soltanto l’11% ha intenzione di usufruirne.
Nel 61% delle grandi imprese esiste un budget per l’innovazione digitale anche fuori dalla Direzione ICT, nella maggior parte dei casi inferiore al budget ICT. La Funzione in cui più frequentemente viene allocato è il Marketing (71%), seguito da Ricerca e Sviluppo e Direzione tecnica (48%), Direzione innovazione (40%). Fra le PMI, invece, soltanto il 19% dedica fondi all’innovazione digitale fuori dalla Funzione ICT.
Le principali sfide organizzative percepite dalle aziende per gestire l’innovazione digitale sono la ricerca-verifica-sviluppo di competenze digitali, insieme all’introduzione di nuove metodologie di lavoro (indicate entrambe dal 50% del campione). Le imprese cercano di superare queste sfide anche con nuovi modelli organizzativi: più di un’impresa su tre prevede team dedicati a ogni specifico progetto di innovazione digitale (36%), nel 9% dei casi ci sono “comitati interfunzionali” e un terzo delle imprese (33%) ha inserito un singolo ruolo dedicato o una Direzione innovazione.
L’Innovation Manager è il profilo professionale al centro dell’attenzione, anche grazie al recente decreto del MiSE che ne definisce le caratteristiche e prevede un voucher a fondo perduto per consulenze. Sta progressivamente entrando nelle grandi imprese, che in un caso su tre hanno già inserito un Innovation manager o una Direzione innovazione, ma nel 76% dei casi è presente da tre anni o meno, segno che per la maggior parte delle imprese si tratta di un profilo ancora nuovo e da scoprire.
Secondo l’identikit tracciato dai responsabili innovazione, le mansioni principali dell’Innovation manager sono valutare e selezionare nuove opportunità di innovazione di potenziali partner come startup e centri di ricerca, gestire il portafoglio dei progetti di innovazione e il relativo budget, favorire il cambiamento culturale, introdurre nuovi modelli organizzativi. Le competenze più importanti secondo le aziende sono leadership, capacità di motivare, ispirare i collaboratori e poi “change management”, per superare la sindrome del “si è sempre fatto così”. La principale difficoltà da superare è la scarsa propensione al cambiamento presente in molte aziende.
L’Open Innovation è ormai una realtà nel 73% delle grandi imprese e nel 28% delle PMI. Le principali fonti di innovazione degli ultimi tre anni sono ancora abbastanza tradizionali: i top manager (43%), le funzioni aziendali (39%), i fornitori di soluzioni ICT (39%) e le società di consulenza (30%), mentre è ancora limitato l’utilizzo di unità di ricerca e sviluppo (20%), startup (14%), centri di ricerca (19%) e aziende non concorrenti (4%). Se si analizza però la tendenza del prossimo triennio, alcune fonti tradizionali si ridurranno (top management, società di consulenza, fornitori di soluzioni ICT), mentre ci si rivolgerà di più ai nuovi interlocutori, come le unità ricerca e sviluppo (+15%), università e centri di ricerca (+32%), startup (+83%) e aziende non concorrenti (+106%).
Oltre il 70% delle grandi imprese adotta iniziative di Open Innovation incorporando stimoli esterni di innovazione all’interno dei processi aziendali (la cosiddetta Inbound Open Innovation), in particolare la collaborazione con università e centri di ricerca (64%), startup intelligence (49%) e ricerca di collaborazioni con aziende consolidate (39%).
Oltre sei grandi aziende su dieci vedono nelle startup un interlocutore per lo sviluppo di innovazione digitale. In particolare, il 35% già collabora con nuove imprese innovative, il 27% ha intenzione di farlo in futuro, mentre il 34% non manifesta interesse per il tema e il 4% ha collaborato in passato. Nella maggior parte dei casi le grandi imprese si servono di startup come fornitori spot (51%), ma una buona parte le usa come unità di ricerca e sviluppo (37%) e come fornitore di lungo periodo (30%).