Richard Munro, Chief Technologist, vCloud Air EMEA di VMware, spiega cosa possono fare le aziende per essere sicure di implementare una “vera” soluzione cloud di tipo ibrido. Il business è veloce e imprevedibile, subisce pressioni costanti nel tentativo di rispondere ai cambiamenti del mercato, che si tratti di crescita, espansione geografica, fluttuazioni stagionali o sviluppo di nuovi servizi o prodotti. Le aziende richiedono flessibilità all’IT per muoversi alla velocità del business e il cloud ibrido serve a fornire la risposta proprio a questa esigenza. L’idea è quella di spostare le risorse IT senza discontinuità dal cloud privato a quello pubblico e viceversa, ogni volta che l’organizzazione ne esprime la necessità, ottenendo così una maggiore agilità, senza rischi e richiesta di ulteriori investimenti. Però alcune soluzioni ibride non realizzano a pieno questo scenario: vediamo da che cosa dipende una scelta di successo.
In teoria, unendo il meglio delle soluzioni private e pubbliche per formare un cloud ibrido, le aziende possono garantirsi la sicurezza, la continuità e il controllo di cui hanno bisogno per i dati sensibili; sono contemporaneamente in grado di scalare rapidamente e a costi contenuti nel caso, all’ultimo minuto, si debba lanciare un nuovo servizio o una campagna di marketing.
Quella che ritengo essere una “vera” soluzione ibrida implica che il mercato non debba più scegliere tra le applicazioni tradizionali O le applicazioni native per il cloud, l’IT O gli sviluppatori, on-premise O off premise, protetto, sicuro e conforme O istantaneo, flessibile, self-service ma peggiorativo dell’attività e della agilità aziendali.
In effetti non è obbligatorio scegliere, si può avere tutto sostituendo l’alternativa della “O” con una semplice “E” che nasce dall’esperienza. Il cloud ibrido, infatti, rende possibile un trasferimento perfetto dei carichi di lavoro tra cloud pubblici E ambienti on-premise con un semplice click del mouse, dando piena libertà E controllo.
Il successo di molte delle organizzazioni più veloci e innovative al mondo dipende dalla capacità dell’hybrid cloud di fornire ciò che promette. La maggior parte di esse, note per le applicazioni di business strategiche native per il cloud, hanno anche esigenze che ruotano intorno alle applicazioni tradizionali e ai dati sensibili e che non si adattano ai servizi cloud pubblici puri per i quali sono conosciute. Spesso tengono database back-end, all’interno della loro rete on-premise, sui quali trascrivono tutto il codice e i dati memorizzati degli utenti, per tenere tutto al sicuro in modo conveniente, o hanno la necessità di utilizzare applicazioni di back office più tradizionali per eseguire e gestire il proprio business.
Tuttavia le applicazioni, le cose più piccole con cui gli utenti interagiscono sui propri schermi, sono probabilmente memorizzati nel cloud pubblico, dando la possibilità di scalare la capacità verso l’alto e verso il basso per soddisfare i picchi di traffico e di usufruire di altri servizi cloud come il Mobile Back-End aaS.
Essere in grado di eseguire e gestire queste necessità come una piattaforma unica è il migliore degli universi cloud che si possa prospettare. Le organizzazioni di tutto il mondo, come ad esempio Creative Solutions nel settore della sanità, Biomni e Planview hanno implementato la soluzione ibrida vCloud Air di VMware per raggiungere e accrescere i propri obiettivi di business. I National Physician Services (NPS) la hanno utilizzata per far crescere il business negli Stati Uniti e soddisfare gli standard di conformità specifici del settore sanitario, oltre ad aver ridotto del 75% l’impegno dei Recovery point e la tempistica di ripristino.
Con benefici talmente evidenti per il modello di cloud ibrido non c’è da meravigliarsi che il mercato si affretti a investire. Oggi due terzi dei responsabili IT nel mondo dichiara che la propria soluzione di cloud è ibrida e IDC ritiene che a partire dal 2020 le architetture cloud ibride domineranno . Tuttavia, la stessa ricerca suggerisce che non tutto potrebbe andare come dovrebbe – rivelando che molti utenti stanno ancora lottando contro le tante questioni che il modello ibrido per definizione deve risolvere: la sicurezza e la riservatezza (35%), la complessità (32%) e la spesa (25%) .
Ho personalmente parlato con le aziende che hanno acquistato qualcosa etichettato come una soluzione ibrida, ma si sono poi trovate intrappolate nel dilemma dell'”O”. Le applicazioni devono essere su una piattaforma O su un’altra, una volta che si ha migrato una serie di applicazioni nel cloud pubblico, non è possibile riportarle allo stato precedente senza incorrere in spese molto elevate, o addirittura non è possibile farlo del tutto! Quando scelgono di migrare verso un’altra infrastruttura le applicazioni che sono state sviluppate sull’infrastruttura del proprio fornitore di cloud, gli viene risposto che non è possibile. La migrazione diviene così una decisione definitiva a senso unico, limitando la flessibilità e, di fatto, aumentando i costi dato che si è costretti a mantenere silos moderni e una nuova serie completa di strumenti di integrazione. Non viene concesso nemmeno di utilizzare le licenze software esistenti e si perdono tutte le integrazioni di continuità realizzate dalle terze parti attraverso il software esistente. L’effetto combinato di tutto questo è che l’automazione e l’orchestrazione degli ambienti diventa impossibile, come anche il far rispettare la governance delle policy.
A mio avviso questi problemi sussistono perché le piattaforme originali dei cloud pubblici sono sostanzialmente diverse tra loro. Al momento sussiste un mercato nuovo di soluzioni non mature che dichiarano di poter risolvere parte del problema, ad esempio gli strumenti per compiere le importazioni che dichiarano di occuparsi di hybrid cloud management. Ma come può un ‘portale’ che dichiara di consentire la migrazione di applicazioni e carichi di lavoro tra le diverse tipologie di cloud tenere il passo con piattaforme che cambiano continuamente le proprie caratteristiche in poche settimane?
Ma la domanda principale è: cosa possono fare quindi gli IT decision maker prima di investire per assicurarsi di ottenere dai fornitori una “reale” soluzione ibrida? I tre aspetti principali da tenere a mente quando si analizza un prodotto, andando oltre quello che semplicemente promette, sono: un management coerente, l’integrazione delle terze parti e un’API comune che si estende a tutti gli scenari di cloud ibrido. Da questo punto di vista tre semplici domande possono aiutare fin dall’inizio a capire se si sta parlando veramente di “ibrido”:
• I miei strumenti già esistenti di management, sicurezza e automazione si possono estendere per gestire il cloud pubblico?
• Posso spostare (non migrare) quando voglio le mie applicazioni esistenti (con lo stesso sistema operativo, configurazione e configurazioni e di rete) verso il cloud pubblico e viceversa?
• So sempre esattamente dove stanno girando i miei dati e servizi applicativi? Possono essere sulla stessa rete locale fisica e logica come nel caso delle mie infrastrutture preesistenti?
Se le risposte sono “no”, la variazione nella vostra infrastruttura sarà enorme – il che causerà problemi di comunicazione e di compatibilità, e, infine, porterà a crescere le spese e perdere ogni possibilità di operare con agilità.
Anche pensare in modo strategico al rapporto tra gli obiettivi di business e dell’IT è vitale. Quello che si adatta al meglio alle necessità immediate dell’IT oggi potrebbe, infatti, rivelarsi non corretto per il business in corso d’opera e cambiare rotta potrebbe risultare costoso.
Una soluzione veramente ibrida e offerta da un leader di mercato dovrebbe operare per la massima flessibilità. Ponendo ai fornitori le domande giuste e pianificando opportunamente, le aziende possono essere sicure di implementare reali soluzioni di cloud ibrido. In fin dei conti, solo un ambiente realmente integrato, flessibile e multi-piattaforma può garantire l’agilità e la capacità di scelta di cui le aziende hanno bisogno per competere oggi sul mercato.