Antreem e Covid-19, l’intelligenza artificiale e Valentina

Antreem, Covid-19, l’intelligenza artificiale e Valentina

L’eccezionalità del momento porta a riflettere su quale sarà l’innovazione del futuro. Fabio Poli, CEO e Presidente di Antreem, parla non solo di questo, ma anche del progetto Valentina.

La situazione che stiamo vivendo rappresenta un unicum nella storia recente e, proprio per questo, siamo nell’impossibilità di utilizzare schemi conosciuti per fronteggiarla e gestirla in molti ambiti. Per questo motivo mi sono ritrovato a riflettere su come nuovi modelli volti alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e gestione possano essere utilizzati per affrontare le sfide nuove introdotte in questa fase di emergenza.

In particolare, pensando a quello che Antreem fa tutti i giorni per i propri clienti, ossia realizzare progetti digitali complessi dalla progettazione alla realizzazione, mi sono chiesto se abilitare interazioni di valore tra persone ed oggetti possa venirci in aiuto. E se la sinergia fra prospettiva tecnologica e prospettiva umana e fra intelligenza artificiale e umana sia una strada da percorrere.

A portarmi a una riflessione in merito è stata l’esperienza che abbiamo fatto come Antreem in questi anni con l’Innovation Room di BPER, un ambiente per la prototipazione e la ricerca tecnologica in cui si fa scouting delle novità tecnologiche più interessanti che ancora non vedono applicazione reale.

Più in particolare, nel 2018 l’Innovation Room ha avviato la prototipazione del progetto di intelligenza artificiale applicata a un umanoide. La linea guida era che la tecnologia dovesse essere il più possibile invisibile, finalizzata a generare una user experience nuova.

L’umanoide creato, chiamato Valentina, era guidato da un motore di intelligenza artificiale per il riconoscimento semantico e il dialogo, in grado di abilitare uno dei tratti maggiormente distintivi di questo prototipo, la capacità di spingersi verso la ricerca di una relazione singolare ed empatica con l’utente.

Nel progetto sviluppato in collaborazione con BPER, Valentina riconosce l’utente che entra nella stanza, lo chiama per nome e sa quali sono le sue esigenze. Tramite una proiezione HD ad ampio spettro su una pellicola polarizzata alta circa 2 metri, l’agent a figura intera può andare incontro all’utente e accoglierlo all’ingresso della stanza. Un progetto così, che è stato pensato inizialmente per migliorare l’interazione con i clienti, potrebbe essere sfruttato e adattato per la fase II dell’emergenza Covid-19? L’intelligenza artificiale e le tecnologie invisibili potrebbero quindi giocare un ruolo chiave nel futuro che stiamo costruendo?

Le persone inevitabilmente più esposte al contagio sono, dopo ovviamente gli operatori sanitari, le figure che hanno una interazione con il pubblico per la natura stessa del proprio lavoro, come succede ad esempio nelle banche, nel commercio o negli uffici pubblici. Se riuscissimo a utilizzare tecnologie invisibili come Valentina, potremmo salvaguardare alcune persone preservandole dal contatto diretto con i clienti e quindi, potenzialmente, dal rischio di contrarre il virus.

Una “Valentina” che riconosce l’utente che entra in Banca, lo chiama per nome e sa quali sono le sue esigenze, non potrebbe rivelarsi utile in una Banca del futuro – un futuro molto vicino – in cui sia il cliente che l’addetto allo sportello possono sentirsi al sicuro perché non costretti al contatto fisico? E ancora, non potrebbe essere “Valentina” a gestire le richieste del cliente che entra in un negozio al dettaglio, almeno in una prima fase, per poi passare a relazionarsi con un commesso solo se necessario? O a dare risposte a un utente che accede a un ufficio pubblico? E una Valentina ologramma a figura intera che va incontro al cliente, lo accoglie e lo accompagna passo dopo passo nell’operazione che deve eseguire o nella richiesta che ha fatto, non risulterebbe empatica e rassicurante anche dal punto di vista dell’esperienza utente, senza snaturare del tutto la relazione della persona che si interfaccia con il servizio?

Certo, questo impone un ripensamento non solo della customer experience per come eravamo abituati a considerarla fino a pochi mesi fa, ma del rapporto fra uomo e tecnologia, di dove porre un confine all’umanizzazione delle tecnologie digitali. Ma scenari come quello che stiamo vivendo, che ha un livello di complessità molto elevato causato anche dalla sua unicità nella storia, ci devono necessariamente portare a una riflessione più alta e a ideare nuovi schemi che rivoluzioneranno, forse per sempre, le nostre esperienze.

Di sicuro, sempre più, le tecnologie invisibili, le interfacce vocali, l’intelligenza artificiale giocheranno un ruolo nella ridefinizione di queste esperienze. Sta a noi, in questo delicato equilibrio, definirne i confini senza snaturare le relazioni e sfruttare le potenzialità che la tecnologia ci offre.