
Secondo una ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, lo scorso anno gli investimenti in tecnologie digitali degli studi professionali italiani sono cresciuti del 3,5% rispetto al 2023. A investire di più sono gli studi multidisciplinari, complice la necessità di integrare competenze differenti e di offrire un ventaglio di servizi più articolato, con una spesa media di 28.200 euro, rispetto a 12.900 dei monodisciplinari. La spesa media per il digitale è di 14.300 euro per i consulenti per il lavoro, 14.000 euro per i commercialisti e 10.400 euro per gli avvocati.
Ancora poco diffuse le soluzioni di business intelligence
La diffusione del digitale tra i professionisti però è ancora principalmente legata a obblighi di legge o a semplici necessità operative. A eccezione dei sistemi per la gestione di videoconferenze, che sono già presenti in almeno il 65% degli studi, nessuna tecnologia è diffusa in più del 50% in tutte le professioni e quelle avanzate hanno un’adozione ancora molto limitata. Le soluzioni di business intelligence oscillano tra il 4% e il 10% a seconda della categoria, diffuse nel 4% degli studi di micro dimensione e nel 32% dei grandi studi. Mentre quelle di AI spaziano tra il 12% e il 17% in base alla professione e tra l’11% e il 21% a seconda della dimensione. A parte pochi grandi studi multidisciplinari, il digitale è ancora poco utilizzato per ampliare il portafoglio servizi e per innovare il modello di business.
Gli studi professionali trascurano l’AI – L’equilibrio vita – lavoro
Non a caso, tra i principali elementi ricercati oggi dai professionisti italiani nella loro attività c’è al primo posto un buon equilibrio tra lavoro e vita privata. Questo è indiscutibilmente la priorità, indicata dall’81% dei commercialisti, dal 78% dei consulenti del lavoro e dal 75% di avvocati e studi multidisciplinari. Seguono maggiore specializzazione, più autonomia e flessibilità negli orari e luoghi di lavoro, migliore retribuzione, opportunità di carriera. E ancora: qualità delle relazioni umane, impatto positivo sulla società, autonomia nella gestione dei carichi di lavoro. L’utilizzo di tecnologie innovative e di strumenti digitali viene solo al 9° posto.
Il digitale non è la priorità per i professionisti
Nonostante le tecnologie potrebbero giocare un ruolo importante, snellendo il lavoro, garantendo sicurezza e velocità e liberando tempo, la prima preoccupazione negli studi è l’appesantimento normativo senza un proporzionale aumento della redditività. Preoccupazione indicata da ben il 64% dei commercialisti, il 55% dei consulenti del lavoro e degli studi multidisciplinari, il 52% degli avvocati. Poi c’è il timore della concorrenza dei grandi operatori (soprattutto tra i consulenti del lavoro, 53%, e tra gli avvocati 45%) e dell’insolvenza dei clienti, diffusa mediamente in uno studio su tre. La carenza delle nuove competenze richieste dal mercato preoccupa meno. Infatti si posiziona al nono posto, evidente in meno del 25% dei casi anche negli studi di dimensioni maggiori.
Cresce la consapevolezza sull’utilità delle nuove tecnologie
Claudio Rorato, Responsabile Scientifico e Direttore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale
I professionisti italiani stanno affrontando la sfida del digitale con velocità diverse in relazione alle singole categorie e alle dimensioni degli studi. Tuttavia è necessario correre di più soprattutto per l’apporto che possono dare allo sviluppo di nuova cultura gestionale nelle imprese. Cresce a tutti i livelli la consapevolezza sull’utilità delle tecnologie e, anche grazie all’elevata esposizione mediatica dell’intelligenza artificiale, compaiono segnali positivi nell’impiego di strumenti di analisi dei dati.Mediamente, però, il digitale è ancora poco utilizzato in chiave strategica per ampliare il portafoglio servizi o abilitare nuovi modelli organizzativi e di business. In un contesto in continua trasformazione e incertezza, le professioni giuridiche ed economiche sono chiamate ad affrontare nuove sfide e a cogliere le opportunità delle tecnologie stando ‘in equilibrio’ tra tradizione e innovazione, adeguandosi ai nuovi scenari. E, al contempo, rimanendo un punto di riferimento per le imprese, alle quali dovrebbero garantire un trasferimento culturale in armonia con le necessità del contesto.
Studi professionali e digitale: sull’AI cautela ma anche volontà di conoscere
Gli studi oggi utilizzano l’AI soprattutto per ricercare documenti e informazioni (nel 78%-90% dei casi) e per la stesura di testi e atti (dal 49% degli studi legali al 72% dei consulenti del lavoro). Poi, c’è la creazione contenuti di comunicazione, come newsletter, e la creazione di slide e presentazioni. Tra commercialisti, consulenti del lavoro e multidisciplinari sale l’attenzione anche per l’analisi dei dati (ad es. cedolini, bilanci, recupero crediti…), nel 24-28% degli studi. Oltre il 50% degli studi apprezza i benefici dell’AI soprattutto per l’efficienza e la rapidità rispetto alle modalità precedenti. La percezione della qualità è bassa per il 17-26%, adeguata secondo il 33-43%, buona-ottima per il 32%-40%. Aumenta rispetto allo scorso anno la quota di studi che utilizzano dati sia per il monitoraggio dell’efficienza, che per offrire nuovi servizi. Oggi lo fa il 55% dei legali e circa il 70% tra commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari. Un segnale propedeutico a realizzare progettualità con l’intelligenza artificiale.