Mario Rosati, Chief Innovation Officer di E4 Computer Engineering, spiega perché nel campo dell’Intelligenza artificiale l’Italia è forte nella ricerca, mentre le aziende dovrebbero investire di più su questa tecnologia.
L’Intelligenza artificiale è oggi uno dei temi più caldi a livello macroeconomico mondiale. E l’Italia sta giocando le sue carte, in particolare nella ricerca. È tra i primi 10 Paesi al mondo in tema di paper scientifici sull’argomento, a testimonianza di un’attenzione che cresce costantemente. Quello dell’AI è uno scenario quanto mai dinamico. Si moltiplicano sia i modelli che le applicazioni e ogni giorno nascono nuovi servizi basati su questa tecnologia, molti dei quali sono dedicati alle imprese.
Intelligenza artificiale: Italia prima nella ricerca
Ma le imprese sono pronte a cogliere questa opportunità? Secondo un’analisi di Eurostat, solo 2 aziende su dieci all’interno dell’Unione Europea usano l’intelligenza artificiale. Un dato che in Italia è ancora più basso, fino al 6%. Il tema della mancanza di talenti e skill in ambito IT non è certo una novità. Investire nelle competenze per dare modo alle soluzioni di AI di estendere la propria diffusione nei settori pubblico e privato in modo efficace e autonomo è però fondamentale.
Più conoscenza dei dati
Una recente ricerca di Qlik in collaborazione con The Future Labs mette in evidenza come sarà la “data literacy”. Ovvero la capacità di conoscere e gestire i dati con sicurezza. Si tratta della competenza più richiesta dal mercato del lavoro entro il 2030, con l’85% dei responsabili aziendali che crede diventerà un requisito strategico alla pari dell’abilità di utilizzare un computer. Si tratta di un processo già in atto, anche se in forma frammentaria. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2021 il numero di Data Scientist è cresciuto del 28% rispetto all’anno precedente. Anche se questa dinamica resta nella gran parte dei casi circoscritta alle grandi organizzazioni.
Incentivare l’uso dell’AI
Una delle aree di intervento del programma strategico sull’intelligenza artificiale, adottato dal Governo, è proprio incentivare l’adozione dell’AI e delle sue applicazioni nella pubblica amministrazione. E questo anche attraverso il rafforzamento delle competenze dei dipendenti. Su questo punto una delle proposte è quella di attivare tre cicli di nuovi corsi di dottorato specificamente progettati per le esigenze delle amministrazioni pubbliche in collaborazione con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e interagendo con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione. C’è un gap da colmare per gestire in modo corretto l’enorme e crescente quantità di dati della PA e le risorse competenti in grado di affrontare tale compito consapevolmente e con le necessarie skill.
Nuovi profili e competenze nell’AI
Nello specifico, le figure cercate per operare in questo ambito ricadranno all’interno dei profili di “data scientist” e “data engineer”. Avranno anche specializzazioni in campi piuttosto diversi, in funzione del punto di contribuzione offerto da ciascuno. La maggior parte dei candidati proviene da studi in discipline scientifiche. Tra queste fisica, matematica, ingegneria, oppure dottorati presso istituti nazionali e internazionali svolgendo lavori di ricerca in Intelligenza Artificiale.
Italia prima nella ricerca
In particolare, si tratta di specialisti nella manipolazione di grandi basi dati (Big Data Analysis), esperti nelle tecniche di Machine Learning per la determinazione di schemi e la previsione di trend futuri dei fenomeni analizzati. E ancora: con competenze nel Deep Learning per addestrare sistemi complessi a compiti specifici, ma estremamente sofisticati. Infatti, sin dalla fase di addestramento dei data model è decisivo indirizzare un aspetto fondamentale per il successo di qualsiasi progetto AI. Ovvero mettere in produzione modelli addestrati in modo che la soluzione si integri con gli strumenti preesistenti in modo appropriato.