Red Hat, l’Open Source nativo per il cloud

Le tecnologie di Red Hat si prestano alla realizzazione di applicazioni in grado di essere eseguite ovunque, ne parliamo con Vittorio Colabella, Middleware Sales Leader.
Ne è passato del tempo da quando Linux, appena nato, sembrava un sistema operativo per hobbysti e smanettoni. La filosofia Open Source, la gratuità, il fatto di essere sviluppato principalmente da studenti nel loro tempo libero non deponevano certo a suo favore.

E invece, nel corso di una trentina d’anni quel sistema è cresciuto, non solo tecnologicamente ma anche in fatto di consenso e supporto. E con l’arrivo di aziende ben strutturate, in grado di creare un modello di business sostenibile intorno al sistema, sono arrivati i successi, anche in ambito business. Punta di diamante di questa filosofia che vede l’utilizzo di Linux e dei principi e paradigmi dell’Open Source in ambito aziendale è sicuramente Red Hat, da qualche anno parte della galassia IBM – a ulteriore riprova della vocazione enterprise.

Oggi, il sistema operativo di punta di RH, Red Hat Enterprise Linux, è un mattone importante dell’economia globale, e viene ampiamente utilizzato per far girare le applicazioni mission critical. Fra le altre, il 90% dei sistemi di prenotazione delle aerolinee, il 95% dei servizi core e di trading delle banche, e più in generale il 95% delle aziende dell’elenco Fortune 1000. RHEL 8.1 è un vero sistema operativo cloud, in grado di garantire performance, sicurezza e consistenza delle operazioni sul cloud, oltre a una facile gestibilità, con gli analytics predittivi. Ed è disponibile per le più diverse piattaforme: si va da ARM64 ai mainframe IBM Z, passando naturalmente per x86-64.

Ogni applicazione, ogni piattaforma
Durante un recente workshop e roadshow, tenutosi a Milano appena prima della chiusura totale, sviluppatori e sistemisti da tutta Italia hanno potuto familiarizzare con la filosofia e le tecnologie alla base di uno dei principali mantra di Red Hat: poter eseguire il deployment di ogni applicazione su ogni piattaforma supportata. Senza modifiche, aggiungiamo noi. Il roadshow, diviso in due track dedicate rispettivamente a sviluppatori e operatori, ha illustrato le caratteristiche e peculiarità delle tre colonne fondanti dell’architettura any application-anywhere di Red Hat, ovvero dei container: il sistema RHEL, OpenShift e Kubernetes.

Red Hat OpenShift, in particolare, ha un ruolo centrale in questo paradigma. Ma come ci si è arrivati? Per capirlo bisogna tornare indietro di qualche anno. “Anni fa c’è stata l’acquisizione di JBoss, che è stata una pietra miliare importante perché ha determinato l’apertura di RH anche a un mondo di costruzione di applicazioni – ci racconta Vittorio Colabella, Middleware Sales Leader di Red Hat Italia, un passato di quasi due decenni in IBM. “Abbiamo preso il bello del modello, che rende questo layer molto innovativo, al passo con i tempi, soprattutto non vincolato all’oggi ma in evoluzione con lo spirito degli sviluppatori. Anche JBoss aveva un approccio tradizionale ai layer, però è stato il momento in cui RH ha iniziato a espandersi e a creare tecnologie infrastrutturali più evolute, come OpenStack, che come logiche di automation hanno iniziato a non parlare solo di sistema operativo, ma di server farm, centri elaborazione dati, automazione. Il tutto prendendo il cuore di Linux ma estendendo l’approccio in ambito industriale.

JBoss si è evoluta facendo leva sulle tante comunità open source come Camel e Drools, ha creato una suite di prodotti che non solo gestivano l’area delle applicazioni tradizionali ma cominciavano a parlare di come integrare le applicazioni in un sistema esteso, gestire logica di processo, andare verso un approccio di flessibilità di scelta degli strumenti migliori per indirizzare un requisito o sviluppare un’applicazione”.

E questa è stata Red Hat ancor prima di OpenShift. “L’avvento di OpenShift è stato disruptive perché esso è un po’ a cavallo fra il mondo infrastrutturale e quello applicativo – continua Colabella. – OpenShift crea un collante fra i mondi, che ha poi abilitato il modello dei box, la collaborazione, l’automazione e sostanzialmente un paradigma any application any infrastrucrture. Paradigma che abilita per chi sviluppa un concetto di totale libertà di scegliere gli strumenti, e lo estende in un contesto di scelta più ampia. Dal lato infrastrutturale il paradigma any infrastructure offre totale flessibilità alle aziende di scegliere anche l’infrastruttura oltre l’applicazione. Ed è stato un acceleratore di un processo che si poteva logicamente fare senza OpenShift e senza i container, ma si sarebbe rivelato molto più dispendioso andare su quest’ottica per acquisire velocità e agilità”.

Red Hat OpenShift nacque nel 2011 sulla base di tecnologie arrivate in Red Hat con l’acquisizione di Makara. È Open Source dal 2012, ma è solo negli ultimi 3 o 4 anni che ha conosciuto un successo notevole, a causa soprattutto del crescente successo di architetture come il cloud e il cloud ibrido, che “costringono” le aziende a cercare soluzioni software quanto più possibile indipendenti dal layer fisico su cui girano.

“La tecnologia OpenShift è molto consolidata e quindi c’è stato un impulso di adozione da parte dei clienti proprio per l’adozione di questo paradigma – prosegue Colabella – Ecco anche l’interesse avuto da IBM per questo modello. Ora abbiamo tante iniziative in corso dove quello che tre anni fa era vero in potenza ma usato da pochi oggi è quasi una commodity. Ovviamente c’è un impatto organizzativo, c’è un problema di cambio di paradigma in cui le operation si sgravano di alcune attività di routine che non servono più e gli sviluppatori possono ragionare in modo più agile perché hanno questo layer abilitante. Quindi le organizzazioni si devono adattare a quello che prima era un unico oggetto grande ma ben confinato e gestibile, mentre oggi, con la distribuzione delle logiche che esclude un centro pensante, il modello organizzativo deve evolvere e le stesse aziende devono fare insourcing di queste competenze, non possono più delegare in toto. Ma hanno la possibilità di avere loro una visione centrale dell’architettura e poi delegare a partner e system integrator i vari moduli. In questo momento, questo tipo di modello ci ha fatto diventare i principali attori in questo mercato, soprattutto in un contesto hybrid cloud, un contesto agnostico e flessibile che è la manifestazione del modello open source”.