Sony: Direct View al cinema è la “Ferrari” delle immagini

Sony, il direct view al cinema è la "Ferrari" delle immagini

Oliver Pasch, Sales Director Digital Cinema Europe, Sony Professional Solutions Europe, spiega cosa sono gli innovativi schermi direct view e perché cambieranno la natura stessa dell’esperienza cinematografica.

Se siete stati abbastanza fortunati da aver visto con i vostri occhi i nuovi schermi direct view (o “schermi attivi“, come vengono anche chiamati), non c’è bisogno che vi dica che sono qualcosa di davvero speciale.
Non c’è una cabina di proiezione sul retro della sala ad occupare prezioso spazio per le poltroncine degli spettatori. Non c’è un addetto alla proiezione e, ovviamente, non c’è il proiettore. La qualità visiva è talmente sbalorditiva che il cervello dello spettatore impiega qualche istante per abituarsi a immagini di così grandi dimensioni con luminosità e uniformità spettacolari da un angolo all’altro, un contrasto impressionante e colori meravigliosamente ricchi e realistici.

È importante sottolineare che parliamo di immagini che sono sempre a fuoco al 100%.
Dal punto di vista dell’industria cinematografica, la progressiva evoluzione dei cinema dalla proiezione convenzionale alla visione diretta potrebbe rappresentare un cambiamento ancora più epocale del passaggio dalla pellicola 35mm al digitale, iniziato oltre dieci anni fa. Questa volta, però, la situazione è diversa. Gli studi cinematografici non pagheranno i costi di questa nuova transizione – come invece venne fatto attraverso il Virtual Print Fee (VPF) che Hollywood finanziò per garantire l’investimento dei cinema in proiettori digitali di prima generazione. Al momento, gli schermi attivi sono un’opzione tutt’altro che economica. Parliamo di un investimento di capitali importante tutto a carico degli esercenti.

Qualcuno di voi può aver già visto la tecnologia Crystal LED di Sony presentata in occasione di diversi eventi di settore in Europa e negli Stati Uniti. Si tratta di una soluzione che segna un vero punto di svolta. Ma la realtà è che abbiamo ancora un po’ di strada da percorrere prima di avere una soluzione direct view per i cinema pronta per il mercato. Si tratta di una tecnologia complessa – non abbiamo nemmeno parlato della questione dell’audio – così come lo sono gli aspetti economici che la riguardano. Dunque, in questo momento siamo in un periodo molto interessante in cui tutti parlano di visione diretta…ma nessuno la vende, la compra o la guarda. Ancora, almeno. È un po’ come se fossimo tornati all’era pre-serie 1: questa volta però abbiamo a che fare con una tecnologia totalmente diversa e nuova.

Ancor di più rispetto al passaggio al digitale, la direct view cambierà la natura stessa della nostra esperienza cinematografica. Uno schermo da 1000 nit è così luminoso che non c’è nemmeno bisogno di spegnere le luci per guardarlo. E a quel punto, i cinema e gli esercenti dovranno ripensare il concetto stesso di cosa significhi realmente andare al cinema. Significa acquistare un biglietto e dei popcorn e poi stare seduti immobili in una stanza buia per oltre due ore? O magari sedersi in una location accattivante con le luci accese, godersi una cena o un drink con amici mentre un film viene visualizzato sulla parete? La domanda sembra naïve, ma è quanto mai importante: cos’è il “cinema”? È una definizione statica, rigida, o è qualcosa che dobbiamo accettare che possa cambiare nel tempo?

E siamo solo all’inizio del dibattito. Ad esempio, i contenuti cinematografici appaiono molto diversi sugli schermi attivi, dato che questi offrono una luminosità e contrasto molto più elevati e una gamma di colori più ampia rispetto alle attuali specifiche DCI. E questo apre a tutta una serie di riflessioni estetiche e opportunità commerciali per registi, direttori della fotografia e studi cinematografici.
Abbiamo già assistito all’accesa polemica suscitata dalla sperimentazione di Peter Jackson con frame rate più elevati. Le soluzioni direct view certamente riapriranno quel dibattito, con ancora maggiore durezza.
A questo punto lasciatemi alzare la mano e domandare se davvero gli addetti ai lavori di mezza età, gli ingegneri e chi si occupa di definire gli standard sanno cosa vuole il pubblico di domani. Nel bene o nel male, la nostra visione del mondo è diversa da quella di un ragazzino di 13 anni che cresce davanti a una console da gioco o a un’immagine in 4K a 60 fotogrammi al secondo sul proprio smartphone o tablet.

Quel ragazzino ha una percezione completamente diversa di come deve essere l’immagine “giusta”. Quindi, come industria, è sicuramente giunto il momento per tutti noi di riflettere sul futuro – e comprendere davvero il mutare delle aspettative e delle esigenze del pubblico.
Se il mio cervello passa immediatamente in “modalità cinema” quando è esposto a contenuti a 24 fotogrammi al secondo, questo non accadrà con schermi a 500 o addirittura 1.000 nits: il motion blur distruggerà l’esperienza. In questo senso, plaudo i recenti sforzi di alcuni registi di altissimo profilo che stanno esortando i produttori di Tv a inserire una “reference mode” sui loro prodotti. Questo garantirà almeno che gli spettatori possano vedere un film nel modo in cui deve essere visto – ovviamente, supponendo che questo sia quello che lo spettatore vuole.

Lo stesso dovrebbe sicuramente valere per gli schermi a visione diretta nei cinema commerciali: un film che è stato realizzato e classificato per la proiezione a 14 fL non dovrebbe essere impostato in modalità più luminose. Ma se vogliamo davvero guidare queste “Ferrari” delle immagini al massimo delle loro prestazioni, allora avremo bisogno di più fotogrammi già in fase di ripresa. Questa volta, il passaggio dalla tecnologia di proiezione agli schermi attivi dovrà per forza di cose avere un impatto importante sul modo in cui vengono creati i film, molto più di quanto non lo sia stato con il passaggio dalla pellicola al digitale.

E vi prego, non preoccupatevi troppo di mettere tutto in discussione ergendovi a custodi assoluti del volere del pubblico. Gli spettatori non solo sono abituati a immagini a basso movimento con effetto judder: spesso le scelgono consapevolmente come opzione per “migliorare” la loro esperienza.

Lavorando per un’azienda che fornisce tecnologia professionale ai cinema ed è anche leader di mercato nella tecnologia consumer, conosco molto bene le preferenze di impostazione dei nostri clienti quando si tratta di proiettori home cinema di fascia alta. Hanno speso una piccola fortuna per un dispositivo in grado di ricreare a casa l’esperienza cinematografica, malgrado ciò la maggior parte di questi appassionati sceglie la tecnologia di interpolazione dei fotogrammi (la versione avanzata di Sony si chiama ‘MotionFlow‘), semplicemente perché è il modo in cui preferiscono guardare i film. Ciò che è “giusto” per loro è sicuramente ciò che conta davvero – e non le opinioni personali degli altri.