Protezione dati, le priorità del 2023 per le PMI italiane secondo Veeam

Gestire ambienti ibridi sempre più complessi e aumentare i budget per migliorare la protezione dati sono tra le principali sfide che si prospettano per le aziende.

Automazione del data management protezione dati

Le nuove sfide IT per le aziende? Far fronte ad ambienti ibridi sempre più complessi e aumentare i budget per contrastare gli attacchi informatici e tenere il passo con la continua diversificazione degli ambienti di produzione su vari cloud. Lo rivela Veeam Data Protection Trends Report 2023, il sondaggio condotto a fine 2022 tra 4.200 leader e implementatori IT (312 in Italia) su molteplici fattori trainanti, problematiche e strategie in materia di protezione dati. Data la vastità del campione, cresciuto di 800 unità dalla scorsa edizione l’azienda lo definisce “il più grande progetto di ricerca indipendente nel settore della protezione dati”. Protagoniste sono state le PMI e le imprese commerciali.

Aumentano i budget per la protezione dati

Una delle principali priorità delle organizzazioni per il 2023 è il miglioramento dell’affidabilità e del successo dei backup, seguito dalla garanzia che la protezione dell’Infrastruttura as a Service (IaaS) e del Software as a Service (SaaS) sia uguale a quella su cui fanno affidamento per i carichi di lavoro del centro dati on premise.

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Tant’è, come rivelano gli intervistati, che il mercato globale della protezione dei dati continuerà a crescere nell’anno in corso e questo porterà i budget ad aumentare del 6,5%. In particolare, l’85% delle organizzazioni di tutto il mondo prevede di incrementare il budget destinato alla data protection, per il 7% rimarrà invariato e il 9% lo ridurrà. Tra quelli che aumentano i loro budget, l’incremento sarà in media dell’8,3% rispetto a quanto speso nel 2022.

L’IT ibrido è lo standard in Italia

In Italia, l’IT ibrido continua a essere la norma, con un equilibrio relativamente uniforme tra i server all’interno del data center e quelli ospitati nel cloud. Nel data center esiste una buona combinazione di server fisici e virtuali: le organizzazioni del nostro Paese hanno riferito di avere per il 29% dei server fisici e per il 25% macchine virtuali. Il restante 46% è costituito da istanze server in hosting su cloud. “I dati dimostrano che l’idea che il data center stia scomparendo è sicuramente falsa – ha affermato Jason Buffington, Vice President Market Strategy di Veeam –. Tuttavia, il cloud è oggi una realtà assodata”. Infatti, nonostante le statistiche includano i carichi di lavoro incentrati sul server, va evidenziato che i carichi di lavoro serverless o basati sui container continuano a crescere in popolarità, con il 52% degli intervistati che hanno eseguito container in produzione nel 2022.

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Da sinistra: Dave Russell, Julie Webb e Jason Buffington

Il 33% delle organizzazioni in Italia ha dichiarato che l’essere in grado di standardizzare le capacità di protezione nei data center e nei carichi di lavoro IaaS e SaaS è un fattore chiave nella propria strategia per il 2023. La gran parte dei leader IT ritiene che la protezione non sia adeguata per diversi motivi, a partire dall’insoddisfazione per lo status quo e il timore sempre presente di rischi imminenti legati al ransomware.

Tra le aziende italiane, il 61% presenta un “divario di disponibilità” tra la velocità con cui i sistemi devono essere ripristinabili e la velocità con cui l’IT può ripristinarli. Mentre il 56% presenta un “divario di disponibilità” tra la quantità di dati che può permettersi di perdere e la frequenza con cui l’IT protegge i dati. Per affrontare queste problematiche, le organizzazioni prevedono di aumentare nel 2023 del 6,3% il budget indirizzato alla protezione dei dati. È questo il motivo per cui la risposta “Migliorare l’affidabilità/il successo dei backup” si è posizionata in vetta alle priorità per il 34% delle organizzazioni. In molti casi, incrementare la protezione vorrà dire modificare la principale soluzione di protezione dei dati, come riportato dal 51% delle organizzazioni del nostro Paese.

Dal ransomware i maggiori pericoli e danni

Il ransomware è la causa più comune e più impattante di interruzioni, insieme ai disastri naturali (incendi, inondazioni, ecc.) e agli errori degli utenti (sovrascritture, cancellazioni, ecc.). Tra le organizzazioni italiane, solo il 14% non ha sperimentato un attacco ransomware nel 2022, il 17% ha sperimentato un solo attacco, il 52% ne ha sperimentati due o tre e il 16% ne ha sperimentati almeno quattro. In effetti, il 41% delle organizzazioni ha affermato che il ransomware (comprendendo anche la sua prevenzione e la sua risoluzione) è risultato l’ostacolo più significativo alla trasformazione digitale o alle iniziative di modernizzazione dell’IT, a causa dell’incidenza su budget e manodopera.

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Alla domanda su quali sono stati gli effetti più significativi degli attacchi subiti nel 2022, il 39% del campione ha dichiarato che l’intero set di dati di produzione è stato crittografato o distrutto. Solo il 55% dei dati crittografati/distrutti ha potuto essere recuperato. Pertanto, non sorprende che alla domanda su cosa cercassero le organizzazioni in una “moderna” soluzione di protezione dei dati, la risposta sia stata “l’integrazione della protezione dei dati all’interno di una strategia di preparazione informatica”.

Business continuity e disaster recovery sono sempre più “as a service”

I disastri naturali e i guasti dei sistemi IT continuano a guidare le più ampie iniziative di business continuity e disaster recovery (BC/DR). Infatti, l’87% delle organizzazioni considera le proprie iniziative informatiche e (tradizionali) di BC/DR come in gran parte (o completamente) integrate. Per raggiungere questo obiettivo, il 37% delle organizzazioni italiane desidera orchestrare i flussi di lavoro di ripristino, invece che affidarsi a processi manuali. Per attività di BC/DR, il 26% sfrutterà le infrastrutture locali, mentre il 40% sfrutterà le infrastrutture cloud, utilizzando IaaS o Disaster Recovery as a Service (DRaaS). Inoltre, l’81% delle aziende italiane prevede di utilizzare il Backup as a Service (BaaS) o il DRaaS per proteggere almeno alcuni dei propri server nei prossimi due anni.

Le organizzazioni italiane hanno poi riferito che, oltre alla protezione basata su disco, in alcuni casi il 66% dei dati in produzione è archiviato nel cloud a un certo punto del ciclo di vita mentre in altri casi il 51% dei dati in produzione è archiviato su un nastro.

Molte aziende hanno ancora una soluzione di backup aziendale legacy per le loro macchine fisiche o virtuali – ha sottolineato Buffington–. Però, siccome i carichi di lavoro si stanno spostando dai data center on prem nel cloud, in svariate situazioni tali soluzioni legacy non riescono a tenere il passo e quindi sarebbe logico che l’archiviazione in cloud fosse uno dei principali aspetti da affrontare nell’immediato futuro”.