Kaspersky, il 90% delle violazioni di dati avviene nel cloud

Kaspersky Lab, il 90% delle violazioni di dati avviene nel cloud

Secondo il report di Kaspersky Lab le aziende si preoccupano per l’integrità delle piattaforme cloud esterne, ma spesso le vulnerabilità possono trovarsi vicino a loro. L’indagine “Understanding security of the cloud: from adoption benefits to threats and concerns” evidenzia come all’interno delle infrastrutture del cloud pubblico sono molto più probabili gli incidenti causati dai dipendenti dei vari clienti, piuttosto che quelli legati ad azioni dei cloud provider stessi.

Le aziende si aspettano che i provider siano responsabili dell’integrità dei dati archiviati all’interno delle piattaforme, ma al di là di questo punto di vista, circa il 90% delle violazioni di dati aziendali nel cloud (l’88% per le Pmi e il 91% per le grandi aziende) avviene grazie a tecniche di social engineering che prendono di mira i dipendenti dei clienti dei servizi stessi, non per problemi causati dai cloud provider.

L’adozione del cloud permette alle organizzazioni di beneficiare di processi aziendali più agili, di ridurre le spese normalmente impiegate per l’acquisto di asset durevoli e di poter contare su una fornitura IT più veloce. Nonostante questi vantaggi, le stesse organizzazioni si preoccupano della stabilità dell’infrastruttura cloud e della sicurezza dei propri dati. Almeno un terzo delle Pmi e delle realtà enterprise (35%) tra quelle coinvolte nello studio di Kaspersky Lab ha dichiarato di essere preoccupato in merito a possibili incidenti che possono colpire le infrastrutture ospitate da terze parti.

Le conseguenze di un incidente di sicurezza IT potrebbero vanificare tutti i benefici ottenuti dall’adozione del cloud e portare, invece, a potenziali rischi dal punto di vista commerciale e reputazionale.
Spesso le vulnerabilità possono trovarsi vicino alle aziende: il 33% degli incidenti all’interno del cloud è causato da tecniche di social engineering che cercano di sfruttare il comportamento dei dipendenti, mentre solo l’11% può essere imputato ad azioni dei cloud provider.

Maxim Frolov, Vice President of Global Sales presso Kaspersky Lab
Nel momento della migrazione ad un cloud pubblico il primo passo per qualunque azienda è capire chi sia davvero responsabile dei dati aziendali e dei carichi di lavoro che li riguardano. I provider di servizi cloud dispongono normalmente di misure di cybersecurity dedicate per proteggere piattaforme e clienti, ma quando la minaccia riguarda il cliente in modo diretto, non è più una responsabilità del fornitore. La nostra ricerca dimostra che le aziende dovrebbero prestare più attenzione alla “cybersecurity hygiene” dei propri dipendenti e adottare misure che proteggano l’ambiente cloud a partire dall’interno.

I consigli di Kaspersky Lab

-Spiegare ai dipendenti che anche loro possono diventare vittime di minacce informatiche. Una formazione che ha come obiettivo principale la sensibilizzazione, come avviene con la soluzione gamified Kaspersky Security Awareness, può essere utile.

-Per ridurre al minimo il rischio di un uso non approvato delle piattaforme cloud, è importante formare lo staff sui possibili effetti negativi del “Shadow IT” e definire procedure di acquisto e uso dei servizi delle infrastrutture cloud.

-Utilizzare una soluzione di sicurezza per gli endpoint che blocchi eventuali vettori d’attacco basati sul social engineering.

-Dopo la migrazione, implementare quanto prima possibile una protezione per l’infrastruttura cloud possibilmente fatta appositamente per l’ecosistema cloud, con una console di gestione unificata per gestire la sicurezza su tutte le piattaforme, supportare il rilevamento automatico degli host in-the-cloud, oltre alla scalabilità del roll out per ciascuna di esse.

Kaspersky Hybrid Cloud Security offre alle aziende una protezione su diversi livelli per ambienti multi-cloud, una soluzione di cybersecurity unificata e un’orchestrazione continua. La soluzione di Kaspersky Lab è in grado di rilevare cyberminacce comuni e avanzate e di proteggere l’intera infrastruttura cloud – dagli ambienti virtualizzati on-premise alle piattaforme di cloud pubblico – come, ad esempio, AWS o Microsoft Azure.