Ha ancora senso studiare lingue nell’era dell’AI?

La globalizzazione, i fenomeni migratori, la facilità negli spostamenti metteranno in primo piano la necessità di competenze interlinguistiche indispensabili per qualsiasi tipologia di interazione.

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Studiare lingue nell’era dell’AI. Intervista al Professor Simone Borile, direttore di Ciels Campus, Scuola Superiore di Mediazione Linguistica Socio-culturale, parte del Gruppo Plena Education.

Ci troviamo in un momento storico in cui i sistemi di traduzione automatica sembrano rendere superflua la figura dell’interprete o del traduttore. Ciononostante, alla consapevolezza che l’AI può essere uno strumento di supporto potente si accompagna spesso la convinzione che alcuni elementi del mediatore linguistico umano restino insostituibili: l’empatia, la competenza culturale e la responsabilità etica.

– I concetti di automazione e AI sono ormai nei discorsi quotidiani di tutti – anche di chi si occupa di mediazione linguistica. Perché ha ancora senso (forse più che mai) scegliere di lavorare nel campo della mediazione linguistica nell’era dell’intelligenza artificiale?

L’AI è uno strumento prezioso e utile, ma il livello performativo è ancora lontanissimo rispetto ad un prodotto finale compiuto da un traduttore. La parte orale invece non tiene conto di tutti quegli aspetti paraculturali propri della mediazione linguistica ignorando gestualità, espressioni che culturalmente sono determinanti in una attività di interpretariato.

In che modo la combinazione tra competenze linguistiche, conoscenze di settore e sensibilità interculturale rappresenta un valore aggiunto sul mercato del lavoro?
Sono elementi fortemente interconnessi. Bisogna conoscere la lingua, il microlinguaggio settoriale e soprattutto le varie sfumature e contestualizzazioni che possono produrre varianti o influire nella trasmissione del messaggio.

– I sistemi di traduzione automatica hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni, ma quali sono – secondo lei – i rischi nell’affidare completamente la comunicazione interlinguistica alle macchine?

Le macchine non danno, ad oggi, un senso compiuto alla frase. Traducono strutture sintattiche e lessemi, ma quando si tratta di trasferire il contenuto in un’altra lingua entrano in gioco analisi e riferimenti di cui l’AI è ancora sprovvista. Le faccio un esempio: se dovessi tradurre “prendere il toro per le corna” – che significa affrontare la questione direttamente, di petto – non potrei mai tradurla letteralmente, perché in qualsiasi altra lingua tale concetto viene espresso con metafore totalmente diverse.

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Studiare lingue ai tempi dell’intelligenza artificiale

– Non c’è dubbio che l’AI abbia modificato il lavoro del mediatore linguistico. In che modo può essere integrata senza snaturare il ruolo dell’interprete?

Il mediatore deve saperla utilizzare conoscendone i limiti e i perimetri. Rappresenta un supporto prezioso ma – come dicevo – essa rappresenta una risorsa, non l’esito finale del processo traduttologico.

– Quali sono oggi le competenze che restano insostituibili nel lavoro di un mediatore linguistico (anche in un contesto ad alto tasso tecnologico), e che quindi gli studenti di lingue devono sviluppare per prepararsi a un futuro in cui la tecnologia sarà inevitabilmente centrale?

L’attività del mediatore non è solo quella di restituire un testo in un’altra lingua. La mediazione linguistica è anche mediazione culturale. Significa trasferire un universo di segni, significati, interpretazioni che l’AI ad oggi, e forse in futuro, non riuscirà a trasmettere.

– C’è ancora futuro per le professioni “classiche” di interprete e traduttore?

È una professione intramontabile. La globalizzazione, i fenomeni migratori, la facilità negli spostamenti metteranno in primo piano la necessità di competenze interlinguistiche indispensabili per qualsiasi tipologia di interazione: da quella sociale, ludica a quella professionale.

– Come può (e deve) evolvere oggi la formazione accademica in ambito linguistico per rispondere alle esigenze di un mondo del lavoro che cambia velocemente? E che ruolo possono avere le università nel formare figure professionali capaci non solo di usare l’intelligenza artificiale, ma anche di darle un senso umano, etico e culturale?

Le professioni cambiano e richiedono sempre nuovi aggiornamenti. Le università devono avere coraggio e visione per essere sensibili a capire cosa sta succedendo e devono essere agili e veloci ad intervenire. L’offerta è molteplice ma sta allo studente capire quale università sa stare al passo con i tempi, trasferendo competenze immediatamente applicabili.