La progressiva digitalizzazione dell’economia, dai processi industriali agli stili di consumo, sta moltiplicando a ritmi esponenziali la quantità di dati generati e disponibili. Pertanto, i dati e la loro rielaborazione stanno assumendo un ruolo sempre più centrale. E questo crea grandi opportunità per le aziende più innovative in grado di trasformare i propri modelli di business, reinventando prodotti, servizi e assetto industriale.
Quanto sono preparate le aziende italiane?
Al fine di restituire una vista aggiornata sul livello di preparazione competitiva delle aziende italiane, The European House – Ambrosetti, in collaborazione con HPE e Intel, ha effettuato una survey indirizzata alla business community nazionale per indagare il grado di preparazione competitiva che le imprese italiane hanno alla luce di uno scenario che vede una crescita della digitalizzazione, del numero di dati, della loro importanza ma anche della maggiore complessità che tali dati creano.
L’indagine ha coinvolto un campione di 400 aziende appartenenti a diversi settori e di differenti dimensioni, ma con almeno 10 dipendenti e con una distribuzione geografica coerente con quella delle imprese sul territorio italiano.
Un’Italia a due velocità
“Quello che è emerso da questa indagine – ha affermato Alessandro Viviani Senior Consultant, The European House – Ambrosetti – è un’Italia che procede a due velocità, in cui troviamo eccellenze e aziende un po’ più lente sia tra le grandi sia tra le piccole imprese”.
Lo sviluppo digitale e la digitalizzazione sono dei prerequisiti per lo sviluppo economico: l’Italia è al terzo posto nella UE per valore assoluto della Data Economy (46,9 miliardi di euro).
“Il valore della Data Economy – ha commentato Viviani – non dipende solo dalla quantità di informazioni generata, ma anche dalla gestione dei dati e dalla possibilità che tali dati hanno di dialogare tra loro per sviluppare nuovi servizi ad alto valore aggiunto. Tuttavia, l’Italia è solo al 18° posto in UE per valore della Data Economy rispetto al PIL (pari al 3%) e cresce a ritmi inferiori rispetto alla media UE, rischiando di perdere al 2025 3,7 miliardi di euro di valore generato attraverso i dati”. Infatti, se la Data Economy in Italia crescesse al 2025 come in UE (36,5%), il Paese potrebbe guadagnare 3,7 miliardi di euro.
Gli ostacoli all’uso dei dati
“Mancanza di focus strategico, barriere organizzative e competenze sono i principali ostacoli all’utilizzo dei dati nelle aziende – ha aggiunto Viviani –. E alla mancanza di competenze si accompagna anche una mancanza di consapevolezza rispetto alla mole di dati disponibili”. Bassa priorità strategica e budget insufficiente interessano il 31,5% delle imprese. C’è poi il tema delle barriere organizzative e delle responsabilità non definite (21,7% delle aziende) e delle competenze (16%). Mentre il 10,7% del campione ha segnalato quale criticità il volume di dati insufficiente.
La survey evidenzia cinque importanti sfide per lo sviluppo della data economy nel nostro Paese: l’assenza di una data strategy (64,7%), di un budget specifico (70,9%), di responsabilità organizzative (50,3%), di competenze specialistiche sui dati (70,4%) e di prodotti/servizi data driven (77%). Nonostante l’argomento digitalizzazione sia all’ordine del giorno, “non abbiamo ancora una visione globale dell’importanza del dato nello sviluppo complessivo delle aziende”, ha sottolineato Viviani.
Una strategia IT o business?
Il 35% delle aziende ha inoltre definito una propria data strategy, prevalentemente inserita all’interno della più generale IT strategy (24%). Nell’11% dei casi la data strategy è invece parte della business strategy e supporta concretamente gli obiettivi aziendali.
Circa il 30% delle aziende effettua investimenti per l’attuazione dei progetti sui dati, utilizzando prevalentemente il budget IT. Nel 27% dei casi l’attuazione della strategia coinvolge il top management con responsabilità trasversali.
Circa il 15% delle aziende dispone di un team di data scientist dedicato alle iniziative business. Mentre nel 23% delle risposte, le aziende utilizzano i dati per progettare nuovi prodotti e servizi. E nel 25% dei casi i dati sono utilizzati per sviluppare il portafoglio prodotti e servizi e per creare una catena del valore più integrata. “Le grandi aziende – ha commentato Viviani – guidano la capacità di prodotti non solo facendo leva sui propri dati ma anche in una logica di filiera ed ecosistema attorno al proprio posizionamento di mercato. Però questo purtroppo non avviene molto spesso ed è confinato a livello di singola applicazione e difficilmente si ha una vista allargata all’intera azienda”.
Come sono gestiti i dati
Circa il 40% delle aziende utilizza tecnologie e strumenti evoluti di data lake e data-hub per la gestione dei dati. E il 45% si avvale di forme evolute e condivise per proteggere il patrimonio informativo.
Circa il 20% delle aziende usa modelli organizzativi evoluti di data governance accrescendo il livello di collaborazione interno e sviluppando nuovi modelli di business, coinvolgendo anche fornitori e clienti presenti nella catena del valore. Il 30% delle aziende dispone di strumenti avanzati di analisi per valorizzare il patrimonio dati.
Solo però tra le grandi aziende sta crescendo la capacità di integrare dati tra applicazioni e con fonti esterne. Tuttavia, la capacità di sfruttare la digitalizzazione per sviluppare nuovi modelli di servizio e di collaborazione è ancora limitata.
Le aziende segnalano infine la personalizzazione dei servizi (38,1%) e un controllo più efficace dei dati (29,4%) come i principali vantaggi conseguibili attraverso il cloud. E l’infrastruttura che meglio sa rispondere a queste necessità è il cloud privato, che rimane la soluzione più adatta a soddisfare le esigenze di business, portando a una crescente importanza delle soluzioni ibride.