Secondo una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Polimi, lo Smart Working non è solo un trend, ma un fenomeno oramai inarrestabile. Gli smart worker – quei lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, disponendo di strumenti digitali per lavorare in mobilità – sono ormai circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018, e mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale.
Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working
Lo Smart Working non è solo una moda, è un cambiamento che risponde alle esigenze delle persone, delle organizzazioni e della società nel suo complesso, e come tale è un fenomeno inarrestabile. La dinamica con cui sta crescendo nel nostro Paese tuttavia, non è abbastanza veloce -. In realtà importanti per l’economia del nostro sistema Paese come PMI e PA la diffusione dello Smart Working non è ancora sufficiente. Questo limita la portata del contributo che lo Smart Working può dare per rendere più moderno il mercato del lavoro, le imprese e le PA più competitive ed attrattive e le nostre città più inclusive e sostenibili. Per le PA in particolare è necessario un rapido cambio di passo soprattutto per non perdere l’opportunità di migliorare la motivazione delle proprie persone e per attrarre nuovi talenti, soprattutto in relazione alla necessità di sostituire circa il 15% del personale nei prossimi 3-4 anni.
Il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi.
Nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato al suo interno progetti di Smart Working è del 58%, in lieve crescita rispetto al 56% del 2018. A queste percentuali vanno aggiunte un 7% di imprese che ha già attivato iniziative informali e un 5% che prevede di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, il 22% dichiara probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sa se lo introdurrà o non manifesta alcun interesse. A fronte di questa crescita modesta, c’è da registrare un aumento di maturità delle iniziative, che abbandonano lo stato di sperimentazione e vengono estese ad un maggior numero di lavoratori: circa metà dei progetti analizzati è già a regime e la popolazione aziendale media coinvolta passa dal 32% al 48%.
Tra le PMI c’è un aumento della diffusione dello Smart Working: i progetti strutturati passano dall’8% dello scorso anno al 12% attuale, quelli informali dal 16% al 18%, ma aumenta in modo preoccupante anche la percentuale di imprese disinteressate al tema (dal 38% al 51%).
È tra le Pubbliche Amministrazioni che si registra la crescita più significativa: in un anno nel settore pubblico raddoppiano i progetti strutturati di Smart Working (passando dall’8% al 16%), il 7% delle PA ha attivato iniziative informali (l’1% del 2018), il 6% le avvierà nei prossimi dodici mesi. Le più avanzate sono le PA di grandi dimensioni, che nel 42% dei casi hanno già introdotto iniziative strutturate e nel 7% hanno attivato iniziative informali.
Secondo le organizzazioni, i principali benefici riscontrati dall’adozione dello Smart Working sono il miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (46%) e la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti (35%). Ma la gestione degli smart worker presenta secondo i manager anche alcune criticità, in particolare le difficoltà nel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nell’utilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attività (26%), anche se il 46% dei manager dichiara di non aver riscontrato alcuna criticità.
Se si interrogano gli smart worker, invece, la prima difficoltà a emergere è la percezione di isolamento (35%), poi le distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%).
Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working.
Per praticare davvero lo Smart Working occorre superare l’associazione che sia solo lavoro da remoto, ma interpretarlo come un percorso di trasformazione dell’organizzazione e della modalità di vivere il lavoro da parte delle persone. Sono ancora poche le organizzazioni che lo interpretano come una progettualità completa, che passa anche dal ripensamento degli spazi e da un nuovo modo di lavorare basato sulla fiducia e la collaborazione. Agire sulla flessibilità, responsabilizzazione e autonomia delle persone significa trasformare i lavoratori da ‘dipendenti’ orientati e valutati in base al tempo di lavoro svolto a ‘professionisti responsabili’ focalizzati e valutati in base ai risultati ottenuti. Fare Smart Working a un livello più profondo significa fare un ulteriore passo oltre, lavorando sull’attitudine e i comportamenti delle persone promuovendo un pieno engagement per far sì che i lavoratori diventino veri e propri ‘imprenditori’ con un’attitudine all’innovazione e alla creatività.Massimo Palermo, country manager di Avaya
Tra il 2018 e il 2019 abbiamo assistito anche noi di Avaya ad un’accelerazione dell’adozione di modelli di smart working all’interno della Pubblica Amministrazione. Sono stati fatti passi in avanti soprattutto sul piano della flessibilità ma nella maggior parte dei casi siamo ancora fermi ad un approccio reattivo basato su processi tradizionali. Raramente si è riscontrata una implementazione basata su una visione strategica e sui principi chiave dello smart working inteso come opportunità per digitalizzare i processi, ripensare l’organizzazione dal proprio interno ed abilitare l’innovazione. Nella gran parte dei casi infatti, nella nostra esperienza, lavorando nell’ambito di convenzioni pubbliche (Consip, Mepa, SPC ecc.), questo ha comportato un processo di aggiornamento tecnologico dell’infrastruttura di comunicazione e collaborazione ed una predisposizione per fornire servizi evoluti. Tuttavia, alcune Pubbliche Amministrazioni Centrali hanno deciso di andare oltre gli obblighi normativi sperimentando lo smart working in modo esteso. In particolare, il MIT (Ministero Infrastrutture e Trasporti), dove si è deciso di avviare un progetto per andare incontro alle nuove esigenze di flessibilità dei dipendenti e facilitare anche il processo di riorganizzazione delle sedi, e Regione Liguria, dove la componente tecnologica ha garantito la resilienza dell’ente a catastrofi naturali e ha garantito ai dipendenti di continuare a fornire servizi ai cittadini.