La Samsung Arena è stata teatro di un interessante simposio, organizzato dallo Studio Trevisan & Cuonzo. Il tema: Connettività e IoT, sfide Antitrust e Ip per le imprese.
Certamente, il mondo dell’informatica e (in questo caso) della telefonia mobile è molto maturo dal punto di vista dei brevetti, ma lo stesso non si può dire per altri settori, tradizionalmente legati a ritmi molto meno serrati sul fronte delle innovazioni.
Ne hanno discusso Gianpaolo Accossato, Senior Vice President General Counsel Magneti Marelli, Paola Brovelli, General Counsel Samsung, Vittorio Cerulli Irelli, socio Trevisan & Cuonzo e Mario Libertini, Professore emerito di diritto commerciale, Università La Sapienza. Accossato, ad esempio, ha ammesso che il settore automotive è rimasto (e in parte lo è ancora) ai margini della problematica inerente ai brevetti, preferendo una sorta di accordo non scritto fra aziende, in cui si è sempre evitato, nei limiti del possibile, di intraprendere azioni legali, consci di poter essere a propria volta oggetto di analoga iniziativa. Un atteggiamento destinato a mutare, nel momento in cui le auto integreranno sempre più elettronica di terze parti. Il numero di brevetti coinvolti e le relative aziende cresceranno a dismisura: basti pensare alle auto a guida assistita o autonoma.
I brevetti essenziali possono dare un fortissimo potere di mercato al titolare, con il rischio di mettere in grave difficoltà l’impresa che abbia necessità di accesso a quella particolare tecnologia.
Per le imprese che guardano alla connettività, la disciplina dell’Ip risulta dunque strettamente correlata con quella antitrust.
La peculiarità del diritto antitrust, in questo settore, è che ha un ruolo difensivo: entra in gioco per difendere l’imprenditore da attacchi brevettuali provenienti da altre aziende che cerchino, opportunisticamente, di estrarre rendite eccessive mediante la minaccia di provvedimenti giudiziali. Il diritto antitrust pone quindi una serie di obblighi in capo alle aziende che detengono brevetti essenziali, per riequilibrare il forte potere di mercato, che altrimenti avrebbero i titolari di tali brevetti. Al tempo stesso, è necessario che non si utilizzi il diritto antitrust per impedire il legittimo esercizio di tali brevetti essenziali nei confronti di quei soggetti che non abbiano intenzione di negoziare una licenza in buona fede. Assicurare un giusto equilibrio tra tali opposte esigenze è quindi altrettanto importante.
Al riguardo, si ha una disciplina piuttosto uniforme a livello mondiale, con soluzioni che impongono ai titolari di brevetti essenziali l’obbligo di concedere in licenza tali brevetti, rispettando inoltre determinati obblighi di comportamento nei confronti degli utilizzatori; a loro volta questi ultimi sono sottoposti all’obbligo di negoziare, in buona fede, tale licenza.
Il diritto antitrust e il diritto brevettuale raggiungono qui un equilibrio molto delicato. Ed è opportuno, spiega Vittorio Cerulli Irelli, dare il giusto peso alle esperienze già maturate negli anni soprattutto nella telefonia, dove si sono già stabilite prassi consolidate.
Nello specifico ambito dei Big Data, per ridurre gli squilibri di potere tipici delle grandi aziende, il diritto antitrust pone invece alcuni vincoli alla possibilità di cumulare grandi quantità di dati. Un’enorme aggregazione può avere, infatti, un impatto rilevante sulla possibilità di competere sul mercato (si pensi al caso dei veicoli a guida autonoma, la cui efficienza e sicurezza dipenderà sempre più dalla disponibilità di immensi quantitativi di dati, ad esempio sulla rete stradale e sul comportamento degli utenti).
A tutela della concorrenza, l’autorità potrà quindi intervenire in materia di concentrazioni, nonché in materia di abusi di posizione dominante, valutando la possibilità di prevedere obblighi di accesso. Si tratta di temi di frontiera, su cui però le Autorità antitrust europee stanno iniziando a interrogarsi.
In ultimo, Mario Libertini ha voluto ricordare un tema poco discusso dai grandi media, ma di rilevante portata nazionale: il grande tasso di inefficienza della macchina giudiziaria italiana. Processi ed azioni legali di grande rilievo, infatti, non hanno praticamente mai luogo in Italia, per via del tempo praticamente infinito della durata dei procedimenti giudiziari, una vera nemesi per una grande azienda. Ed è stato ricordato che processi di questo tipo generano fatturati nell’ordine delle decine di milioni di euro, che inesorabilmente finiscono per alimentare economie come quella inglese pre-brexit, oppure tedesca ed olandese. L’ennesimo esempio di come la pubblica amministrazione italiana sia, di fatto, un ostacolo alla imprenditoria privata.