Albert Zammar, VP Semea di Veeam, dimostra che la crescente digitalizzazione dell’istruzione, anche a livello universitario, comporta l’adozione di misure contro cyber attacchi, anche interni.
Nell’era digitale è normale che l’innovazione tecnologica sia da considerarsi un fattore chiave nell’ambito dell’istruzione.
In Europa e in Italia anche le istituzioni sono attive in un processo di ammodernamento di contenuti, metodi e mezzi: una trasformazione inevitabile che richiede nuove capacità di tutto il sistema educativo, a partire da quelle infrastrutturali.
Gli obiettivi del piano d’azione per l’istruzione digitale, proposto dalla Commissione Europea, si propongono di migliorare il digital learning e gli ICT educational tool, a cominciare dalle tecnologie ICT per l’istruzione, e contemplando intelligenza artificiale e progetti di learning analytics.
Nonostante i ritardi e le difficoltà dovuti alla lenta diffusione della banda larga, anche in Italia le strutture scolastiche e accademiche si stanno attrezzando per rispondere in maniera concreta alle esigenze di digitalizzazione. Dalle pagelle elettroniche alla consultazione delle piattaforme e-learning, la richiesta di accessibilità è anche bottom-up, ovvero gli utenti finali della formazione si aspettano che gli istituti si strutturino sempre meglio per fruire di risorse e informazioni in ogni luogo e in ogni momento.
Per questo scuole e università ospitano – e ospiteranno sempre più – un ampio e prezioso patrimonio di vari tipi di dati: da quelli legati all’apprendimento a quelli altamente sensibili, che includono, ad esempio, le informazioni personali degli studenti o le coordinate bancarie del personale.
Con la digitalizzazione, che prevede una serie di punti di accesso alle informazioni, occorre pertanto avere l’accortezza di adottare misure di ripristino, backup e prevenzione della perdita di dati.
Scuole e università possono altrimenti diventare un bersaglio privilegiato per i cyber criminali, oltre che per gli attacchi interni.
È già accaduto: nel 2016, ad esempio, un hacker russo è riuscito a entrare nelle reti di 63 università ed enti governativi, mentre nel 2015 uno studente ha aumentato i voti degli esami accedendo al sistema dell’università di Birmingham. In Italia lo scorso anno l’attacco WannaCry ha colpito anche l’Università Bicocca di Milano costringendo i responsabili informatici dell’ateneo a isolare i pc colpiti e a riformattarli prima di poterli rimettere in servizio. Si è trattato di 4-5 computer, ma questo, come gli altri casi, mostra l’interesse per il valore dei dati custoditi negli atenei, e nel contempo, sottolinea la responsabilità di questi ultimi nel mettere in sicurezza i dati, rendendoli nel contempo immediatamente disponibili quando richiesti.
In Italia, secondo il sito dell’Istruzione, nel quinquennio 2015-2020 si investiranno oltre 1.000 milioni sulla digitalizzazione della scuola: in questa finestra economico-temporale auspichiamo che il tema dell’availability non venga sottovalutato.
Migliorare l’availability non è solo un’opportunità per migliorare l’accesso alle strutture critiche o per contribuire all’affidabilità delle risorse. È un’opportunità per rendere la vita scolastica e accademica quotidiana più efficiente, oltre che gradevole.