Paolo Arcagni, System Engineer Manager di F5 Networks, mette in evidenza il punto di intersezione tra l’Internet of Things e il Cloud Computing.
Dietro al concetto di “Internet of Things” convivono in realtà due mercati distinti: il primo è quello che tutti noi conosciamo e amiamo (o odiamo) e riguarda i gadget consumer. Tutti noi abbiamo almeno un oggetto connesso – in realtà gli studi dicono addirittura 7 o 8 – che rientra in questa categoria e, sia che si parli di automazione domestica che di fitness, il tasso di adozione di questi “oggetti” da parte dei consumatori non mostra segni di arresto.
L’altro mercato, meno attraente e citato, è quello dell’Internet Industriale delle cose (IIoT). La distinzione tra i due non è solo importante ma necessaria, dato che gli utilizzi e le sfide connessi con il lato industriale degli oggetti connessi sono molto diversi da quelle lato consumatore. Ad esempio, la disponibilità, pur se importante anche sul lato consumer, è un elemento critico per il mercato industriale dove le operazioni di business e la produzione si basano sempre più sui dati generati dagli oggetti connessi e le azioni vengono prese sulla base di indicazioni di sistemi di analisi di questi dati, sempre più intelligenti, che prendono milioni di decisioni al giorno.
Le prestazioni sono un elemento importante per il sistema e le applicazioni che supportano l’IIoT. Quando la sicurezza delle persone può essere correlata al fatto che i dati di un sensore vengano ricevuti abbastanza velocemente da spegnere le apparecchiature prima di un incidente, le prestazioni diventano non solo un vantaggio competitivo, ma un requisito vitale.
Chiaramente, anche la sicurezza è in primo piano: una singola violazione di una rete IIoT può comportare un disastro.
Nonostante tutte queste preoccupazioni, è ormai indiscutibile che il cloud sia un ingrediente necessario per la crescita del successo di qualsiasi iniziativa IoT, industriale e non. Il cloud pubblico IaaS è spesso acclamato come la risposta migliore alla necessità di scalare e all’efficienza economica. Il cloud pubblico IaaS abilita, infatti, un accesso semplificato a milioni di oggetti sui quali bisogna dare riscontri, rispondere a domande, ottenere aggiornamenti e ricevere istruzioni dai proprietari.
Nel caso dell’IIoT, tuttavia, non è sempre vero che il cloud pubblico IaaS ha senso. I sistemi che prendono le decisioni (gli stessi che hanno bisogno di poter scalare e sfruttare le capacità di calcolo) devono potersi trovare vicino ai sensori e agli oggetti con cui stanno interagendo. Si trovano ancora on-premises, sullo stesso piano di un fabbricato o sugli scaffali di un magazzino. Forzare questi sistemi per inviare dati all’esterno verso un cloud pubblico IaaS porterebbe ritardi sgraditi con un calo conseguente delle prestazioni necessarie a garantire reazioni più rapide e meno dannose rispetto alle situazioni che i sensori stanno monitorando.
Se è vero, infatti, che le organizzazioni nutrono forti preferenze per quei modelli di cloud che sono in grado di controllare – in particolare per il modello colo e cloud privato, sia on-premises che non – lo IaaS pubblico ha di certo meno probabilità di essere scelto da chi implementa i sistemi e le architetture IIoT.
Molti dubbi sull’evoluzione di cloud e IoT sono ancora aperti: ad esempio, nel settore della sanità, che vede un’applicazione significativa dei dispositivi IoT sia dal punto di vista degli oggetti industriali sia del consumatore, come evolverà questo rapporto?
Dopo tutto, ci si affida a sensori, molti dei quali ‘indossabili’, per monitorare i pazienti e allertare il personale medico in caso di potenziali problemi, ma altrettanti oggetti connessi sono utilizzati in loco per monitorare le infrastrutture critiche. Visto l’ampio utilizzo, sorprende notare come il settore sanitario non sia tra le industrie che ha promosso gli investimenti più consistenti in entrambi i mercati IoT ma punti oggi più sulle applicazioni mobile, il cloud privato e i big data.
Nella nostra ultima ricerca (State of App Delivery survey), al primo posto negli investimenti IoT figurano il mercato del manufacturing (con un po’ di sorpresa) e le aziende di telecomunicazioni. Entrambi però non investono così tanto da indicare l’Iot come una delle tre principali tecnologie sulle quali si focalizza la spesa.
Per tutte le industry, la tecnologia principale sulla quale investire è, in modo indiscusso, il cloud, pubblico o privato. Un allineamento perfetto dal punto di vista dell’impatto strategico, rispetto al quale l’Internet Industriale delle cose inizia farsi percepire, sganciandosi dagli oggetti di consumo, ma restando saldamente fermo sotto il primato del cloud.
Mentre Iot e IIoT cominciano a maturare ed emergono le prime best practice, assisteremo a uno scontro tra le forze di attrazione dei diversi cloud rispetto alla capacità di applicare un maggiore controllo su dove le applicazioni vengono distribuite. L’IIoT si confronterà sempre più con il mondo dei cloud controllabili (privati e colo) mentre personalmente prevendo che l’IoT consumer migrerà con più naturalezza verso modelli di cloud “commodity” (pubblici). Alcuni partiranno dal on-premises, con un modello di cloud privato, e – a seconda del successo (della crescita) – migreranno o anche solo si espanderanno in modo da includere risorse cloud pubbliche, come è necessario per la scalabilità e per gestire il costo per unità.
In sintesi, oggi l’internet degli oggetti si appoggia di più ai sistemi on-premises che al cloud, ma, in realtà, tutto questo ci fa capire molte più cose sul cloud che sull’IoT.