Secondo un’indagine Lebu, spin off di Cesim, i dipendenti diventano brand ambassador e, per le società, è importante disporre di personale capace di usare le piattaforme digitali.
Stare su Facebook al lavoro sarà concesso sempre di più a tutti i dipendenti. Purché lo si faccia per il business. Lo conferma Lebu, piattaforma dedicata al social learning, che nel solo mese di gennaio ha raddoppiato le richieste di corsi per le aziende che chiedono di estendere le conoscenze sul mondo digitale e le sue potenzialità alla maggior parte dei dipendenti. In modo particolare a chi ha obiettivi commerciali. Ma non solo.
Giancarlo Novara, CEO di Lebu
La digital disruption, con particolare riferimento ai social, deve essere gestita in maniera strategica e un primo passo da compiere è quello di aggiornare tutti i propri dipendenti su quanto sta accadendo. Quasi tutti i nostri clienti ci hanno chiesto dei corsi ad hoc per gestire il cambiamento epocale provocato dall’avvento del digital e molti hanno chiesto di partire dalle basi, dall’ABC. Le aziende hanno intuito quanto sia importante questo strumento ma molte non hanno ancora una idea precisa di come sfruttarlo a pieno. Realtà come l’americana Starbucks, la cui campagna tweet a coffe ha fruttato 180.000 dollari in meno di un mese, sono l’esempio da seguire e la dimostrazione lampante di quanto possa essere importante per il fatturato coinvolgere anche i dipendenti nelle strategie digitali
Affinché le strategie di social advocacy, cioè di supporto social da parte dei dipendenti, abbiano successo è necessario che la condivisione di contenuti sia volontaria e questo può accadere solo se le persone sono coinvolte, soddisfatte e allineate in pieno con la cultura aziendale; soprattutto, però, è necessario che tutti dipendenti conoscano i meccanismi e le dinamiche proprie dei canali digital e imparino ad usarli correttamente attraverso una formazione specifica. Le aziende che vogliono davvero evolvere con la digital disruption hanno bisogno di leader lungimiranti in grado di mettere a punto strategie che coinvolgano in maniera globale tutta l’organizzazione e anche le HR dovranno diventare lo strumento fondamentale per mettere in pratica questo cambiamento. E’ fondamentale capire che non bisogna avere paura di sperimentare soluzioni innovative e apparentemente senza continuità con il passato; nessun cambiamento è mai facile! La formazione gioca un ruolo fondamentale, non solo nello sviluppo di nuove competenze ma anche per la condivisione di esperienze e nel rafforzamento dei messaggi che provengono dall’alto.
La pagina FB della multinazionale leader del settore food conta 36 milioni di like e il suo account Twitter 10 milioni di followers. Tra tutti questi, i primi ambassador sono proprio i suoi stessi dipendenti che, tramite uno specifico programma di sensibilizzazione, sono incoraggiati a condividere tutte le news sulla loro azienda. Per capire il potenziale che c’è dietro una politica di questo tipo basta fare una semplice ipotesi e due conti. Un’azienda di medie dimensioni può avere un totale di 5.000 followers tra FB, Twitter e Instagram e un totale di 100 dipendenti. Se ognuno di questi conta mediamente 250 contatti ed è formato per utilizzare nel modo corretto le piattaforme digitali condividendo contenuti sulla propria azienda, i followers di quest’ultima potranno passare in pochissimo tempo da 5.000 a 30.000. Un altro tipo di azienda, invece, potrebbe sfruttare questi canali per contattare in maniera più rapida ed efficace potenziali nuovi clienti nonché quelli già acquisiti, riducendo tempi e costi e massimizzando i profitti. Formare i dipendenti sull’utilizzo del digitale conviene!
Anche uno studio condotto da Fujitsu in vari Paesi europei conferma questo trend: secondo la ricerca, nonostante ci sia una complessiva consapevolezza di come la trasformazione digitale impatti direttamente sul fatturato e sulla capacità delle imprese di creare valore per i propri clienti, ci sono grosse discrepanze per quanto riguarda quelle che sono considerate priorità strategiche per i progetti digitali. L’indagine, che ha coinvolto più di 600 tra manager C-level e responsabili di budget IT, rivela un grande ottimismo nel mercato nei confronti della trasformazione digitale. C’è anche la consapevolezza che non essere abbastanza veloci nella digitalizzazione porti a conseguenze negative, tra cui perdita di produttività, minore reattività alle richieste e ai cambiamenti del mercato, problemi a mantenere i clienti.
Sulla stessa linea, l’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano ha tracciato, in una ricerca su 100 direttori del personale di aziende medio-grandi, il profilo di queste digital soft skill necessarie per guidare il cambiamento. Sono le competenze trasversali rilette alla luce dell’evoluzione digitale – ossia capacità di tipo relazionale e comportamentale – a permettere di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti per migliorare produttività e qualità del lavoro. Parliamo quindi di quindi digital awareness, virtual communication, self-empowerment, knowledge networking e creativity. Di queste la più diffusa sembra essere la digital awareness (70% delle aziende intervistate), cioè la capacità di gestire in modo consapevole e appropriato la sicurezza e la confidenzialità dei dati aziendali, la salute personale (ergonomia, ad esempio) e il rispetto del work-life balance grazie agli strumenti digitali di supporto. È invece ancora poco sviluppata la capacità di virtual communication: solo il 35% dei direttori Hr intervistati ritiene che i dipendenti possiedano capacità adeguate per comunicare e collaborare in ambienti digitali e virtuali, ma è anche uno degli aspetti su cui le imprese contano di investire di più.