L’AI sta cambiando il design, tra formazione e lavoro

Questa tecnologia può entrare nel design in fasi e modalità diverse utilizzando le diverse tipologie di AI, siano esse più o meno generative e più o meno supervisionate.

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Con Erica Moreti, specialista in innovazione, design e tecnologia, docente e course leader di SPD – Scuola Politecnica di Design, parliamo di AI, formazione e lavoro.

– Oggi, quando si parla di intelligenza artificiale, buona parte della comunicazione è viziata da un effetto “wow” che rischia di deformare l’opinione collettiva. Cosa ne pensa dei più recenti sviluppi in questo campo?

L’effetto “wow” o l’effetto ogni tanto descritto come “effetto metaverso” esiste, ed è motivato dal valore di mercato e degli investimenti mossi dallo sviluppo di questa tecnologia. In linea teorica questo entusiasmo non è diverso da quanto osservato per tecnologie precedenti, ma a differenza di quest’ultime l’AI – pur essendo una tecnologia nascente – si sviluppa in modo molto veloce e segue dunque un percorso di maturazione diverso.

Esiste però una dimensione etico-sociale molto forte associata all’AI, per quanto accaduto in passato, paura e mancanza di linee guida. Come per la fusione nucleare, potrà avere applicazioni più o meno etiche e responsabili a seconda di chi le sviluppa e chi le applica. Da qui la necessità di incoraggiare il pensiero critico di utilizzatori, progettisti, sviluppatori e trainer di questi modelli.

– L’AI sta gradualmente prendendo piede in molti settori: come sta trasformando le professioni del Design e come sta impattando sulla formazione? All’atto pratico, come viene integrata l’AI nell’ambito del Design?

Questa tecnologia può entrare nel design in fasi e modalità diverse utilizzando le diverse tipologie di AI, siano esse più o meno generative e più o meno supervisionate. L’integrazione pratica nel flusso di lavoro avviene attraverso l’uso di agenti AI (come quelli nei software di design o di project management) che ottimizzano l’efficienza, oppure, se parliamo di AI supervisionato – dove diamo un input e chiediamo un tipo specifico di risposta – questo può essere utilizzato come supporto alla ricerca e all’analisi dei dati, per la loro aggregazione, per la generazione di varianti a partire da sketch e render di proprietà (su un modello personalizzato) o da dati in tempo reale, per creare scenari possibili, per trasformare questi input in immagini, video o altri output, per testare soluzioni con audience vere o sintetiche che simulano utenti reali.

L’AI può fungere da acceleratore di idee e soluzioni innovative e da strumento per l’automazione di compiti ripetitivi (come il ridimensionamento, la rimozione di sfondi o la generazione di varianti). Se, compreso il funzionamento dello strumento, questo spostamento libera il designer da attività a basso impatto creativo, ciò gli permette di dedicare più tempo al pensiero critico, all’approfondimento e alla gestione della visione progettuale complessiva.
La formazione dovrebbe includere elementi di progettazione che utilizzano l’AI, come la padronanza del prompting (saper formulare istruzioni efficaci per l’AI), la comprensione delle basi algoritmiche, la sperimentazione e lo sviluppo di strumenti AI personalizzati, insieme a una profonda riflessione sulle implicazioni etiche e sociali dell’uso di questa tecnologia.

– L’arrivo dell’AI obbliga la forza lavoro a un necessario up-skill per potenziare le proprie competenze. Come si può fare?

Dal 2023, secondo il report di ADK News 2025, la domanda per la padronanza dell’AI nelle discipline del design è aumentata più del 200%, e secondo il report State of AI in Design il 96% dei progettisti segue un percorso di apprendimento autonomo, in quanto poco incentivati dai percorsi formativi e dalle aziende nelle quali si inseriscono (con l’eccezione di start up e aziende in early stage che possono sperimentare più facilmente).
Se parliamo di accademia, sono tendenzialmente le università technology-driven a guidare il cambiamento: esiste un gap da colmare nell’educazione del design, e questo è proprio quanto cerchiamo di affrontare nel Master in Digital Design della SPD di Milano.

– Chi studia Design, oggi, cosa può aspettarsi per i prossimi anni in termini di potenziali sbocchi professionali, in un settore che sarà (come molti altri) sempre più AI-driven?

Ruoli come il Creative Technologist, Prompt Designer, AI UX Researcher, AI Ethical Designer, AI Product Designer, oppure in altri ambiti tecnologici come MR Designer, Immersive Designer, Computational Designer e tanti altri, in base alla disciplina di partenza o di specializzazione scelta. È esattamente questo l’obiettivo che abbiamo in SPD: quello di preparare gli studenti per un nuovo design, per ruoli ibridi che possano “parlare con le tecnologie” e progettare con pensiero critico, creatività e responsabilità.