
In estate, flussi più alti e indipendenza da sistemi automatizzati. Perché non va abbassata la guardia su infrastrutture critiche quando si parla di sicurezza.
Nel dibattito sulla sicurezza informatica, si tende spesso a concentrarsi sugli attacchi più sofisticati. Quelli orchestrati da gruppi criminali dotati di risorse e tecnologie complesse. Ma la verità è che non serve un attacco elaborato per provocare danni seri. Anche una vulnerabilità semplice o banale, se ignorata, può mettere in ginocchio intere infrastrutture critiche.
Molti incidenti recenti a livello globale – che spaziano dall’interruzione di servizi energetici a malfunzionamenti in impianti idrici, sanitari e logistici – hanno avuto origine da errori semplici. Accessi remoti mal gestiti, autenticazioni deboli, interfacce esposte a internet senza protezioni adeguate. Si tratta di falle che non richiedono conoscenze avanzate per essere sfruttate. Ma che possono generare conseguenze concrete, dal fermo operativo all’impatto sulla sicurezza pubblica.
Emblematico, in tal senso, il caso di una diga norvegese, dove un hacker è riuscito a manipolare un sistema di controllo, semplicemente accedendo a un’interfaccia scarsamente protetta. L’attacco – durato meno di quattro ore – non ha provocato nessun danno grave, ma ha dato un chiaro segnale. Ovvero che spesso basta un clic per innescare effetti a catena.
La sicurezza nei mesi estivi
Questo rischio si amplifica durante i mesi estivi, quando molte organizzazioni operano con organici ridotti, flussi aumentati e maggiore dipendenza da sistemi automatizzati. È proprio in questi momenti – quando l’attenzione si allenta – che la superficie d’attacco “cresce”. E con essa, il potenziale impatto. Ospedali, centrali elettriche, reti di trasporto, impianti di trattamento acque, data center. Tutti questi sistemi sono sempre più interconnessi e interdipendenti. Ma spesso sono governati ancora con logiche e controlli obsoleti. Oggi, invece, serve un cambio di mentalità. La sicurezza informatica non può più essere separata dalla sicurezza fisica e operativa.
L’assenza di misure basilari
Grant Geyer, Chief Strategy Officer di Claroty
Oggi non serve un attacco sofisticato per compromettere un’infrastruttura critica. La vicenda della diga norvegese lo dimostra chiaramente, ma episodi simili si verificano quotidianamente, spesso a causa di dispositivi esposti a internet, interfacce non protette, controlli remoti attivati senza misure minime di sicurezza. È come lasciare incustodita una sala di controllo con tutte le valvole aperte, sperando che nessuno ne approfitti. Non è la complessità dell’attacco a fare la differenza, ma l’assenza di misure basilari. Le stesse precauzioni che adottiamo per la sicurezza degli ambienti fisici – chiavi, accessi controllati, barriere – deve essere estesa ai sistemi digitali che gestiscono servizi essenziali come energia, acqua, trasporti e sanità. Non possiamo più trattare la sicurezza informatica come un’aggiunta secondaria: è parte integrante dell’affidabilità operativa.Nei mesi estivi, in particolare, il rischio aumenta: organici ridotti, maggiore carico sui sistemi e un’attenzione distribuita rendono più probabili gli errori e più vulnerabili le infrastrutture. Basti pensare a un ospedale dove viene disattivato l’impianto di condizionamento, o a una rete idrica bloccata nel mezzo di un’ondata di calore: sono vulnerabilità minime che, se trascurate, possono avere impatti reali e gravi. La sicurezza delle infrastrutture critiche non è solo una questione tecnica, è una responsabilità strategica. Non possiamo più permetterci di agire solo dopo che qualcosa è andato storto. Serve un approccio preventivo, disciplinato, e continuo. Perché la sicurezza pubblica e la fiducia delle persone si costruiscono garantendo, giorno dopo giorno, che i sistemi su cui contiamo siano protetti da ciò che è prevedibile e prevenibile.