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Andrea Zinno, Data Evangelist di Denodo, ci spiega come i fattori ESG siano una priorità per le organizzazioni, indipendentemente dal settore in cui operano.
In questo scenario, per poter valutare correttamente la validità della loro Corporate Social Responsibility (CSR), le aziende devono però poter fare affidamento su una serie di indicatori e parametri definiti dai criteri ESG: un aspetto non scontato, soprattutto per quelle realtà che hanno difficoltà a controllare e gestire i propri dati.
I dati, materia prima fondamentale per i report ESG
Prima di accettare la ben nota analogia secondo cui i dati sono il nuovo petrolio, ci si deve però interrogare se questi non siano piuttosto una fonte energetica rinnovabile, dove tanto più i dati sono aggiornati, tanto maggiore è il valore che se ne può estrarre. Al contrario, i dati “fossilizzati”, ovvero troppo datati, spesso interessano meno e soprattutto permettono solo di guardare nello specchietto retrovisore, per individuare quindi cosa non funziona, piuttosto che lanciare lo sguardo in avanti, per prevedere cosa potrebbe accadere.
La capacità di elaborare e analizzare i dati, supportata da buone pratiche di governance, è essenziale per abilitare le iniziative di sostenibilità. Le aziende che integrano i dati nei propri processi decisionali sono meglio attrezzate per intraprendere con successo il percorso verso l’attuazione dei criteri ESG, che può tradursi in un vantaggio competitivo concreto, consentendo maggiore trasparenza per quanto riguarda le iniziative ambientali, sociali e la modalità di governance.
Per costruire i propri report ESG, le aziende necessitano di informazioni affidabili, precise e complete, ottenute grazie a una precisa misurazione e un attento monitoraggio degli obiettivi prefissati – questo, in aggiunta a garantire la giusta implementazione della CSR, ha positive ricadute anche sulle prestazioni economiche: un recente studio di Accenture mostra infatti come le aziende con prestazioni ESG costantemente elevate tendano a ottenere rendimenti totali per gli azionisti 2,6 volte maggiori e margini operativi 4,7 volte più alti rispetto alle aziende la cui performance ESG è nella media.
Dati mal gestiti e inaccessibili
I sistemi IT della maggior parte delle aziende sono stati realizzati ben prima che il concetto di sostenibilità diventasse una priorità e, nel loro sviluppo, ci si è principalmente concentrati sulla gestione di indicatori puramente economici e di produttività. Questo si traduce, allo stato attuale, nella necessità di affrontare nuove sfide tecnologiche per poter integrare i più recenti criteri in un ecosistema dati ben consolidato.
I dati sono spesso sparsi nei sistemi informativi, in formati diversi a volte incompatibili tra loro e in aree geografiche differenti: senza una gestione adeguata, il rischio che una grande quantità di dati non possa essere elaborata è concreto e, di conseguenza, molte informazioni sarebbero inevitabilmente perse.
Un approccio volto a centralizzare fisicamente tutti i dati per omogeneizzarli ed elaborarli sembrerebbe a prima vista una buona idea, ma, spesso, l’adozione di questo tipo di strategia porta le aziende a venire rapidamente sopraffatte dalla complessità dei propri sistemi informativi, già di per sé difficili da controllare: l’aggiunta di un ulteriore stratificazione non farebbe altro che aumentare la complessità.
Una modalità alternativa, più agile ed efficiente, è però possibile e consiste nell’utilizzare le tecnologie di virtualizzazione dei dati, che hanno il vantaggio di consentire, senza doverli preventivamente duplicare, una rappresentazione, una governance e un accesso centralizzati: questo consente, inoltre, l’accesso a dati aggiornati e in tempo reale per effettuare analisi che riflettano pienamente la realtà, visto che viene di fatto azzerata la latenza temporale insita in un approccio tradizionale all’integrazione dati.
Con un modus operandi di questo tipo, le aziende possono così accedere a dati precisi e oggettivi sulle proprie performance ESG: ne consegue la possibilità di monitorare i progressi in tempo reale e nel tempo, identificare aree di miglioramento e prendere decisioni più informate. Analizzando i propri dati, le organizzazioni possono identificare meglio gli indicatori ESG che prima faticavano a controllare, come l’impatto ambientale delle attività, i problemi di conformità normativa o anche i rischi legati alla gestione della catena di fornitura. Infine, essendo in grado di elaborare dati precisi e oggettivi, le aziende rafforzano la propria trasparenza e responsabilità, cosa che consente di costruire un rapporto di reale fiducia, sia con i dipendenti che con elementi terzi, come ad esempio investitori e clienti.
La sostenibilità in tempi di crisi energetica
Secondo un rapporto IDC, il 90% dei dati aziendali viene replicato più volte: in un mondo ideale si potrebbe pensare che, date le risorse energetiche necessarie per gestire queste duplicazioni, le aziende stiano quanto meno mettendo in discussione le pratiche di data management, con l’obiettivo di ridurre la propria impronta di carbonio. Tuttavia, complice anche il fatto che spesso lo storage è oramai efficiente dal punto di vista energetico, sono poche le aziende che prestano attenzione alla quantità di dati replicati e agli impatti sull’ambiente che questi comportano, soprattutto considerando che la gestione di un volume di informazioni in continua crescita richiede comunque un aumento delle risorse necessarie per gestirle, peggiorando una situazione già di per sé non ottimale.
Una buona gestione dei dati senza replica e senza i costi computazionali e di trasporto, necessari a mantenere aggiornati i dati replicati, consente, grazie alla virtualizzazione degli stessi, di adottare invece un approccio più frugale, pur garantendo l’accesso a tutte le informazioni e, in parallelo, consente alle aziende di ridurre sia il consumo di energia dell’infrastruttura, che i costi associati alla sua manutenzione.