Alfonso Mariniello, Director Market Development Italy di Xandr, in un approccio people-oriented, il prossimo passo è la gestione dell’identità digitale.
Ogni volta che visitiamo un sito web, questo lascia tracce sul browser e sul dispositivo che stiamo utilizzando, dette “cookie”. La funzione dei cookie è quella di consentire ai siti di offrire agli utenti esperienze personalizzate, memorizzando piccole quantità di informazioni su di loro.
Al contrario di una credenza comunemente diffusa, i cookie non sono “un male” per i fruitori del web. Se questi non esistessero, infatti, ogni volta che visitiamo una nuova pagina all’interno di uno stesso sito dovremmo selezionare nuovamente tutte le preferenze (come, ad esempio, la lingua) e saremmo addirittura costretti a confermare incessantemente di “non essere un robot”.
Gestione dell’identità digitale
Fra i diversi tipi di cookie, esistono quelli cosiddetti “di terze parti”, vale a dire cookie impostati da un sito web diverso da quello che si sta attualmente visitando – appunto, da una “terza parte”. I cookie di terze parti sono utilizzati dagli operatori del programmatic advertising (la pubblicità digitale) per ricostruire le attività degli utenti mentre navigano da un sito all’altro (tracciamento “intersito” o “cross-domain”), riuscendo quindi a dipingerne un profilo più ampio e accurato, utile a fornire pubblicità maggiormente personalizzate.
La scelta di tutti i principali browser di abbandonare questo sistema di tracciamento segna un momento di svolta per il settore dell’ad tech, rendendo chiaro come questi identificatori passivi abilitati ed esposti di default ai fornitori di tecnologia pubblicitaria non possano più essere il futuro di questo mercato.
Il settore Tech
Il settore Tech, di conseguenza, si sta quindi giustamente allontanando da questi identificatori passivi che consentono il tracciamento cross-domain per impostazione predefinita, per passare invece a un sistema migliore, che consenta l’uso di identificatori attivi (cosiddetti “privacy-by-default”: identificatori, cioè, grazie ai quali gli utenti non vengono tracciati da un sito all’altro e hanno invece il pieno controllo su quanto profonda debba essere la loro relazione con ciascun editore che visitano o proprietario di contenuti con cui si confrontano. Molti editori che hanno rapporti stretti con i propri utenti (e/o la possibilità di attivare i propri dati) sono in grado di trarre un vantaggio da questo passaggio a un sistema di privacy-by-default.
In parole povere, stiamo passando da un modello opt-out, in cui gli utenti devono effettivamente mettersi a cercare il “pulsante anti-tracciamento“, ad un modello opt-in, in cui gli utenti scelgono autonomamente il grado di partecipazione agli annunci pubblicitari dell’editore.
Identità digitale, opting in vs opting out
È qui che le soluzioni di identità basate sulle persone sono entrate in gioco, allo scopo di potenziare questo nuovo metodo di coinvolgimento. Le innovazioni in questo settore, infatti, non mirano a ricreare l’approccio tracked-by-default, anzi: questi identificatori – come detto – esistono solo se gli utenti si autenticano volontariamente con i loro editori preferiti.
Questa autenticazione, per cui di solito si utilizza il proprio indirizzo e-mail, consente agli utenti di instaurare una relazione più profonda con i proprietari dei contenuti, ricevendo in cambio un valore aggiunto – come esperienze più personalizzate o, semplicemente, l’accesso a più contenuti. Alcuni utenti potrebbero non volersi autenticare e, di conseguenza, scegliere di ricevere meno valore, meno contenuti o un’esperienza più semplice.
Cosa significa questo per editori e marketer?
Evidentemente, non tutti gli utenti vorranno autenticarsi su ogni editore. Non ci si deve quindi aspettare che gli ID basati sulle persone siano identificatori indirizzabili “universali”, in grado di dare a marketer e piattaforme tecnologiche la possibilità di tracciare gli utenti ovunque. Detto questo, laddove disponibili, gli ID basati sulle persone – insieme alle capacità di misurazione che abilitano – consentiranno comunque di ottenere prestazioni e ritorni sulla spesa pubblicitaria pari, se non superiori, a quelli che si registrano oggi attraverso i cookie di terze parti.
L’impiego di varie modalità di attivazione, alcune delle quali possono dipendere dalla presenza di un ID basato sulle persone e altre no, sarà cruciale per entrambi i versanti del mercato ad-tech. Ad esempio, la cosiddetta pubblicità contestuale (“contextual advertisement”) – che dipende, come il nome suggerisce, dal contesto, coerentemente con quello che vede il lettore (sito di viaggi, banner di promozione voli) – sono quelli che offrono la maggiore scalabilità, ma forse anche una minore accuratezza e capacità di misurare efficacemente le performance rispetto ad altre soluzioni. D’altro canto, approcci basati su dati di prima parte degli editori possono fornire un’elevata accuratezza e una scalabilità considerevole, ma questi approcci da soli non sono altrettanto “appetibili” per un buyer che, se non integra con altro, non ha abbastanza materiale per misurare appieno le prestazioni della propria campagna end-to-end.
I prossimi passi
In prospettiva, i publisher (e i buyer) dovrebbero quindi cercare di acquisire una maggiore familiarità con tutte le possibili alternative oggi disponibili – quelle basate sull’ID e quelle non –, testando l’implementazione di una combinazione di strategie diverse per assicurarsi i migliori risultati possibili nell’era post cookie di terze parti.
Detto questo, le soluzioni ID basate sulle persone dovrebbero essere una delle parti più importanti di un tale approccio diversificato di un acquirente e di un venditore già da adesso, in quanto offrono massima precisione e ampio potenziale di misurazione: da queste, è possibile infatti tratte importanti lezioni su come la pubblicità avanzata potrà funzionare nel modello di privacy-by-default a cui presto dovremo prendere tutti parte.