Rob Tribe, VP e System Engineering EMEA di Nutanix, spiega come combinare una strategia vincente attraverso le risorse del cloud ibrido.
Capire come coniugare e controllare la combinazione di risorse cloud oggi disponibili in un panorama ibrido di ambienti on-premise pubblici e privati, può sembrare un compito insormontabile, ma ci sono alcuni aspetti chiave che possono essere d’aiuto per le aziende.
Le dinamiche aziendali e i modelli di business sono cambiati. Ciò non è dovuto solo alla pandemia globale, anche se quest’ultima ha amplificato molte delle funzioni aziendali e le supply chain che fanno muovere il mondo, ma anche all’impatto più ampio del cloud, del connected commerce ovvero della digitalizzazione del punto vendita e dell’ubiquità dei dispositivi mobile.
Da un approccio top-down a uno bottom-up
C’è stata una netta inversione di tendenza rispetto alle tecnologie che utilizziamo. Le aziende utilizzavano procedure di sviluppo top-down come logica principale per le piattaforme adottate e per le applicazioni e i servizi che sviluppavano. Gli utenti in gran parte prendevano ciò che veniva loro dato, lamentandosi solo se davvero necessario.
Come policy generale per lo sviluppo IT, tale prassi non è più efficace. Gli utenti hanno acquisito il diritto di poter di scegliere e se la flessibilità e la funzionalità non sono all’altezza degli standard, passeranno oltre. E l’IT deve accettare il fatto che la progettazione e lo sviluppo oggi sono guidate dall’utente.
Allo stesso tempo, i team IT di tutto il mondo stanno trasformando le Operations dei data center (che abbracciano persone e processi) e spostando gli investimenti in infrastrutture verso soluzioni altamente automatizzate per concentrarsi su scelte incentrate sul business (piuttosto che sull’infrastruttura).
Questo è il momento esatto in cui le aziende devono valutare quali applicazioni, carichi di lavoro e archivi di dati inserire in un contesto di cloud ibrido che comprende risorse pubbliche e private on-premise. Potrebbe risultare un compito arduo, quindi a quali aspetti o attività IT dovrebbe pensare l’azienda?
Calcolare il ciclo di vita di un carico di lavoro
I manager aziendali sanno di possedere dei dati e un database per gestirli. Allo stesso modo, sono a conoscenza di una certa quantità di applicazioni aziendali, alcune delle quali utilizzano loro stessi durante la loro normale attività lavorativa.
Ciò che questi manager di alto livello difficilmente conoscono è il dettaglio di ciò che c’è alla base di queste risorse di dati e applicazioni. La migrazione al cloud è una grande responsabilità per un’azienda, ecco perché è necessario esaminare a 360° il ciclo di vita di un’applicazione e del carico di lavoro dei dati e il valore che si può ottenere spostando ogni workload nel cloud.
Non esiste un unico modello per calcolare il ciclo di vita di un carico di lavoro, ma se ci fosse, si baserebbe sulla rilevanza di una determinata tecnologia, sul suo ruolo nella catena del valore aziendale, sul numero di touchpoint con utenti, partner e clienti ma anche sul suo ruolo in merito ai requisiti di governance e conformità a cui l’azienda deve attenersi.
Se i fattori sopra elencati derivano da variabili di business, allora ci sarà anche una serie corrispondente di variabili operative IT che aiuteranno a “descrivere” lo stato del ciclo di vita del carico di lavoro di un’applicazione. Questi fattori includono, tra gli altri, l’utilizzo della memoria, il numero di richieste di analisi dei dati, i requisiti di Input/Output e la quantità di potenza di elaborazione richiesta.
Cloud ibrido, quale approccio adottare?
Naturalmente, non è possibile trasferire nel cloud determinati carichi di lavoro in modo semplice ed economico. Tali workload dovrebbero rimanere sulle piattaforme esistenti o essere migrati su un’infrastruttura tradizionale aggiornata, che ora può essere fornita con implementazioni cloud on-premise.
Altri carichi di lavoro applicativi saranno invece arrivati a un punto del loro ciclo di vita in cui è più prudente dismetterli in modo sicuro, ad esempio a seguito della cessazione del supporto da parte del fornitore originario del servizio o perché esistono alternative migliori.
Sia che un carico di lavoro venga dismesso o sostituito con un’alternativa di cloud pubblico, privato o ibrido, le aziende devono prendere tutte le decisioni con metodo e attenzione solo dopo aver effettuato un processo di valutazione completo.
Tutto pronto per il cloud ibrido?
Una volta elaborate tutte queste riflessioni e valutati ulteriormente i fattori di privacy e sicurezza necessari per determinare quali carichi di lavoro devono rimanere on-premise, quali sono adatti al cloud pubblico e quali a un ambiente ibrido, un’azienda può finalmente chiedersi: siamo pronti?
La risposta in un mondo dinamico “always-on” come quello del cloud è spesso sì, ma è necessario considerare anche altre variabili. Un altro fattore chiave sarà la disponibilità di competenze cloud tra la forza lavoro esistente. Le aziende avranno bisogno di competenze in ambito cloud non solo per migrare i carichi di lavoro delle applicazioni e dei dati nel cloud, ma anche per creare nuovi servizi cloud e gestire l’intera infrastruttura cloud una volta che le istanze saranno operative.
Il livello di competenze nel cloud di cui dispone un’azienda determinerà naturalmente il grado in cui potrà distribuire, sfruttare ed ampliare tutti i tipi di risorse cloud, in particolare il cloud pubblico. Per le aziende con competenze limitate in materia di cloud, può avere senso iniziare a utilizzare le piattaforme cloud come forma di protezione dei dati per l’infrastruttura tradizionale.
Il percorso di migrazione al cloud
L’effettivo processo di migrazione al cloud può essere una combinazione di quattro fattori: rehosting, refactoring, riprogettazione o sostituzione, ma questa è una storia a sé stante. Possiamo però affermare che un’azienda – indipendentemente dal settore in cui opera – che tiene conto di questi fattori chiave è sulla buona strada per trarre pieno beneficio dalle tecnologie cloud al momento giusto, nei flussi di lavoro giusti, con la giusta frequenza e al giusto prezzo.
La migrazione al cloud può essere assimilabile a un cocktail, data la diversità degli ingredienti (carichi di lavoro), la gamma di miscelatori e shaker (mezzi e tecniche per la migrazione), il numero di contenitori e bicchieri (endpoint dei carichi di lavoro e interfacce utente) e un’oliva o una fetta di lime (acceleratori cloud, dashboard di visualizzazione e così via).
Il cloud è un mix di fattori, ma con un approccio ponderato si può evitare di far confusione.