Stefano Pateri, Major Account Executive Digital Media di Akamai Italia, commenta i risultati del report realizzato in collaborazione con MTM.
Un singolo caso di video rebuffering può comportare un danno economico di oltre 85.000 dollari. Questo è uno dei risultati chiave dello studio Understanding the Value of Consistency in OTT Video Delivery, un nuovo rapporto che Akamai ha pubblicato in collaborazione con MTM, una società di ricerca e consulenza specializzata in media e tecnologia.
Il report combina dati di ricerca e interviste fatte a dirigenti di varie realtà operanti nella distribuzione di video per valutare l’importanza e l’impatto della qualità video in streaming per il successo commerciale. Esplora inoltre alcune delle principali tendenze e dinamiche relative alla qualità video nel mercato statunitense dell’OTT premium.
Anche se non esiste uno standard di mercato per misurare la qualità dell’esperienza video online, il rebuffering è l’unico indicatore che ritorna costantemente in ogni conversazione. Data la relazione diretta tra rebuffering e engagement dello spettatore, evitare o ridurre al minimo tali interruzioni è una priorità assoluta per la maggior parte dei fornitori di servizi. Secondo un senior manager di un’importante emittente intervistato per il report, “Il calo del customer engagement si verifica non appena compare la rotellina che segnala il rebuffering. Il nostro obiettivo è quello di mantenere questo valore al di sotto dello 0,5%. Quando il rebuffering è inferiore allo 0,5, il 90% delle sessioni sono completate. Non appena si arriva allo 0,5-1%, il numero inizia a diminuire – 80%. Non appena si raggiunge l’1%, il tasso scende al 50%“.
Riconoscere che il rebuffering deve essere mantenuto al minimo indispensabile è una cosa; risalire alla causa principale quando accade è un’altra. Data l’ampiezza e la complessità delle supply chain dei video, i problemi possono essere ricondotti all’ISP, alle CDN, al dispositivo o al browser dell’utente finale, alle configurazioni Wi-Fi, alla larghezza di banda disponibile, al traffico di rete e persino al contenuto stesso. “Fare delivery di video è un processo complicato e il processo può nascondere insidie di vario genere”, ha riconosciuto un VP of Strategy and Innovation di un’emittente multicanale.
Uno sguardo veloce a Twitter è sufficiente a mostrare che gli spettatori non sono timidi quando si tratta di esprimere il loro malcontento per un’interruzione. Il pubblico, infatti, sta diventando sempre più preciso quando si tratta di comunicare e persino di identificare i problemi di servizio.
Nel nostro report siamo quindi arrivati a valutare che un singolo caso di rebuffering, per un’importante emittente video, possa valere 85.000 dollari. Abbiamo raggiunto la cifra guardando prima il volume di traffico video di un’importante rete americana tra giugno 2017 e giugno 2018, che ammontava a 370 milioni di video play. Utilizzando i dati sulla qualità dell’esperienza raccolti attraverso lo strumento Media Analytics di Akamai, abbiamo visto che ogni istanza di rebuffering si traduce in un tasso di abbandono dell’1%. Con una durata media dei video di poco più di otto minuti, un singolo rebuffer si traduce in 496.417 ore perse, o l’equivalente di 10,7 milioni di ad impressions (supponendo 11 minuti di ad time per ora a una media di 30 secondi per annuncio). A un CPM di 8 dollari, un’istanza di rebuffering potrebbe portare a 85.500 dollari di mancato guadagno.