Nel mondo digitale di oggi, abbiamo l’incredibile opportunità di risolvere finalmente alcuni dei problemi più complessi esistenti, sfruttando la connettività per condividere idee e risorse quando e dove vogliamo, ma soprattutto per alimentare progetti e soluzioni innovative. Eppure, anche quando ci disconnettiamo, resta un grande problema: i dati. Non è chiaro infatti chi è il proprietario dei dati che il digitale crea, chi dovrebbe essere autorizzato ad usarli e a quale scopo
I nostri dati, patrimonio inestimabile
Sappiamo bene che ogni prodotto e la maggior parte delle abitudini di consumo di oggi genera un’enorme quantità di dati personali. Entro il 2020 esisteranno 20 miliardi di dispositivi collegati e saranno tutti in grado di produrre flussi di informazioni. Continuano ad emergere modelli di business legati a questo fenomeno, in cui i consumatori, di fatto, pagano per i servizi gratuiti consegnando i loro dati. L’elaborazione e l’analisi di questi dati ha il potenziale per risolvere alcuni dei nostri maggiori problemi – rendere le città più sicure, salvaguardare l’approvvigionamento idrico, ottimizzare la produzione alimentare, migliorare il consumo energetico e molto altro ancora.
La domanda da porsi è: se queste opportunità e guadagni di efficienza devono essere realizzati, quale dovrebbe il ruolo del governo, dell’industria e della società nella protezione, condivisione e analisi dei dati? Un altro aspetto da considerare è che oggi solo una manciata di persone in tutto il mondo sa quanti dati personali vengono generati, chi ne ha accesso o come vengono utilizzati.
L’esplosione dei dati e l’emergere dell’economia e della società digitale ha comportato inoltre l’aumento dei rischi legati alla sicurezza informatica. I sempre più frequenti incidenti legati alla cyber security minacciano di mettere in ombra l’immenso potere positivo dei Big Data.
I casi più eclatanti sono quelli in cui le informazioni personali vengono rubate e condivise pubblicamente, provocando grande malcontento fra i diretti interessati. Anche il database più sicuro può essere potenzialmente compromesso – è quindi colpa degli individui che in primo luogo hanno consegnato i loro dati? O la responsabilità ricade sulle imprese, sul governo e sulle ONG che richiedono questi dati per garantire che i loro sistemi possano sconfiggere i ladri informatici?
La riservatezza dei dati rimane un argomento chiave di discussione per le persone, le imprese e i responsabili politici di tutto il mondo, e lo sarà sempre di più, considerando che il mondo digitale si estenderà gradualmente a ogni aspetto della nostra vita.
L’importanza della privacy
Verizon è da sempre un forte sostenitore della privacy e della protezione dei dati personali. Abbiamo stabilito un approccio alla privacy by design per lo sviluppo dei prodotti molti anni fa, mettendo la privacy e la sicurezza al centro del nostro modello di conformità e della nostra cultura. Oggi, all’inizio della quarta rivoluzione industriale, i dati hanno trovato una nuova collocazione e il loro valore si è trasformato. Per molte organizzazioni, il customer value risiede oggi nel modo in cui gli individui utilizzano le applicazioni e consumano i contenuti. La privacy e la sicurezza sono essenziali per costruire fiducia e credibilità nell’economia digitale, per consentire agli stakeholder di trarne pieno beneficio. Da un punto di vista politico, la questione non è se, ma come regolamentare al meglio la privacy e la sicurezza.
l’Europa dispone oggi di due importanti regimi di tutela della privacy: l’attuale Direttiva ePrivacy in corso di revisione e il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) di recente adozione. Il GDPR, sviluppato specificamente per affrontare il problema della protezione dei dati personali in un mondo digitale, si applica a tutte le tecnologie e a tutti i settori. Pertanto, pur non essendo perfetto, rappresenta un approccio ampiamente armonizzato ed equo alla protezione dei dati personali in tutta l’UE a tutti i livelli dell’economia (digitale o meno).
La Direttiva ePrivacy, che tuttavia risale al 1997, riguarda principalmente i fornitori di servizi di telecomunicazione. Questo doppio regime normativo è l’approccio più appropriato per risolvere le problematiche in materia? Una questione fondamentale per i responsabili politici è riuscire a bilanciare i diritti dell’individuo rispetto alla necessità delle imprese di competere e innovare.
Uno dei risultati più notevoli della rivoluzione digitale è stata la capacità delle Internet companies di monetizzare i dati. Esse traggono vantaggio dal fatto che un individuo decide di scambiare le proprie informazioni personali in cambio di servizi come strumenti di ricerca, contenuti o piattaforme di social media. La vera domanda è: il GDPR stesso non dovrebbe essere abbastanza robusto da affrontare le sfide del mondo online attraverso un approccio tecnologicamente neutrale? E, naturalmente, un altro motivo per regolare la tecnologia orizzontalmente è che le imprese cambiano, i modelli di business cambiano. Un approccio di questo tipo fornirebbe la flessibilità necessaria per adattarsi a un ambiente così dinamico.
Basti guardare dove sono nate alcune delle più note aziende Internet di oggi e dove si trovano ora, o provare a ricordare tutti i player un tempo “importanti” che oggi semplicemente non esistono più.
Il punto è che se i mercati, le industrie e gli operatori cambiano ha senso che cambino anche i modelli normativi. Una regolamentazione basata su norme settoriali specifiche non può tenere il passo.
La questione chiave dovrebbe essere quella di considerare il valore economico e la pertinenza dei dati attuali, piuttosto che regolamentare per ragioni storiche. Una forte tutela della privacy oggi deve essere costruita sulla semplicità normativa, la prevedibilità e l’armonizzazione a vantaggio di tutte le parti interessate. Uno sforzo mirato per conciliare le normative – attraverso una regolamentazione orizzontale che non identifica interessi particolari dell’economia digitale sempre più interconnessa e convergente – e per semplificare le regole e gli obblighi, contribuirà a creare un ambiente legislativo adatto all’era digitale.