L’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management – Politecnico di Milano è convinto che per il lavoro l’AI sarà un’opportunità più che una minaccia.
Il mercato dell’Artificial Intelligence è agli albori in Italia, con una spesa per lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale di appena 85 milioni di euro nel 2018, ma dalle grandi prospettive. L’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano ha illustrato i risultati della ricerca durante il convegno “Artificial Intelligence: on your marks!”. Molti gli interrogativi che rimangono sull’impatto dell’Artificial Intelligence sul lavoro: se da un lato il 33% delle aziende intervistate dichiara di aver dovuto assumere nuove figure professionali qualificate per realizzare soluzioni di AI, dall’altro il 27% ha dovuto ricollocare personale dopo l’introduzione di una soluzione di AI.
L’indagine puntuale sul bilancio occupazionale in Italia rivela come l’Artificial Intelligence sia da considerarsi più come un’opportunità che una minaccia: 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti potranno essere sostituiti nei prossimi 15 anni dalle macchine, ma nello stesso periodo a causa della riduzione dell’offerta di lavoro e l’incremento di domanda si stima un deficit di circa 4,7 milioni di posti di lavoro nel Paese, da cui emerge un disavanzo positivo di circa 1,1 milioni di posti. In questo scenario (peraltro globalmente diffuso) di progressiva riduzione della forza lavoro, l’AI appare non solo come una opportunità, ma come una necessità per mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale, riducendo i costi assistenziali necessari a mantenere gli standard di vita, creando nuovi lavori a maggiore valore,.
La consapevolezza delle imprese
Il 58% delle imprese del campione associa l’AI all’emulazione della mente umana, un terzo (35%) a un gruppo di tecniche come, il Machine Learning, solo il 14% al lo sviluppo di sistemi dotati di capacità tipiche dell’essere umano. Poco meno di un terzo associa in modo esplicito l’Artificial Intelligence ad uno dei suoi principali campi di applicazione, dimostrando una conoscenza circoscritta del fenomeno. Tra questi, la maggioranza identifica con AI il concetto di assistenti virtuali (31%), poi la capacità di formulazione (12%) e comprensione (9%) del testo, le auto a guida autonoma (9%) e l’estrazione di informazioni dalle immagini ). Infine, solo il 7 ha colto che l’AI e un bersaglio mobile, ovvero come evolva il concetto di “intelligenza” ogniqualvolta vengano conseguiti dei successi dalla comunità scientifica in un ambito specifico.
Eppure, il 48% delle imprese pensa di conoscere in modo adeguato l’Artificial Intelligence, il 47% in modo superficiale, e solo il 5% dichiara un livello di conoscenza nullo.
Le soluzioni in Italia
L’Artificial Intelligence è una sfida in cui in Italia ancora pochi si sono già cimentati: solo il 12% delle aziende intervistate ha un progetto a regime, il 19% ha un interesse futuro, non ancora concreto, e il 9% non ha alcun interesse. Tra chi ha già in corso progetti di AI, il 50% delle aziende ha come obiettivo prefissato il miglioramento dell’efficienza dei processi, ovvero la riduzione dei costi, il 37% l’aumento dei ricavi ed il 13% lo sviluppo di soluzioni per un supporto decisionale.
Alessandro Piva, Direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence
Questi risultati suggeriscono che l’AI non sia solamente una bolla, ma un’opportunità reale per le aziende Intraprendere un percorso di adozione di soluzioni di intelligenza artificiale, però, è un processo complesso: nelle fasi iniziali, la realizzazione del business case è l’attività più critica, per difficoltà nel valutare i requisiti e il rapporto costi-benefici. Mentre nelle fasi finali è impegnativa la necessaria attività di change management, seguita dall’attività di release & deployment del progetto.
L’impatto dell’AI sul lavoro
Il 33% delle aziende intervistate ha avuto necessità di assumere nuove figure professionali per implementare soluzioni di AI, mentre un ulteriore 39% lo ha fatto senza modifiche di organico. Al tempo stesso, il 27% ha avuto la necessità di ricollocare del personale a seguito dell’introduzione di una soluzione di AI, un dato questo che conferma gli interrogativi su quali siano i volumi di ricollocamento sostenibili da parte delle imprese e, più in generale, del sistema Paese. Per questo motivo, l’Osservatorio ha indagato in dettaglio quale potrebbe essere il bilancio occupazionale in Italia, combinando dati da fonti e ricerche pubbliche con quelli direttamente rilevati di adozione delle imprese.
La popolazione attiva in Italia oggi è di 23,3 milioni di lavoratori (Istat), di fronte a 12,3 milioni di pensionati, con circa 300.000 posti di lavoro che non trovano adeguata offerta e un tasso medio di disoccupazione di poco inferiore al 11%. Nei prossimi 15 anni si passerà a circa 21,9 milioni di lavoratori e 14,5 milioni di pensionati, con un saldo netto di -1,4 milioni di lavoratori e un peggioramento dell’indice di dipendenza dall’attuale 56 ad oltre il 70%. Il saldo demografico, a pari livello di popolazione attiva occupata, infatti, porterà nel giro di 15 anni a perdere circa 2,9 milioni di lavoratori, oltre il 10% dell’attuale forza lavoro, parzialmente attenuato da 1,5 milioni di nuovi occupati recuperabili dal saldo migratorio; i pensionati potrebbero aumentare di quasi 2 milioni di unità. Nel contempo si può stimare un incremento della domanda di lavoro di circa 3,3 milioni di posti di lavoro equivalenti, soprattutto per l’aumento dei consumi e delle aspettative di qualità della vita e il maggior carico assistenziale per una popolazione progressivamente invecchiata. Nei prossimi 15 anni si potrebbe quindi generare un disavanzo di 4,7 milioni di posti di lavoro equivalenti.
Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence
In questo scenario, il potenziale recupero di produttività promesso dall’AI, e più in generale dalla nuova automazione, non è da vedere come una minaccia, ma anzi una necessità, prima ancora che un’opportunità, se si vogliono mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale. Va però trovato un nuovo equilibrio complessivo. Nei prossimi anni sarà necessario pensare ad una revisione del sistema contributivo, considerando che il lavoro non sarà più la principale fonte di creazione della ricchezza. E sarà necessario rivedere i sistemi di misura della ricchezza, arrivando forse a includere nuove grandezze come l’esistenza di meccanismi di formazione permanente, di protezione e sicurezza sociale, nonché la circolarità dell’economia.