Con i servizi di banda Ultra Larga, gli Internet provider italiani, contravvenendo alle disposizioni comunitarie, impongono agli utenti l’installazione di un router dedicato.
Con conseguenze sulla libertà e la riservatezza dell’utente e con prestazioni spesso al di sotto delle aspettative dei clienti. AGCOM dovrebbe intervenire per ristabilire il principio del router libero, come nell’era dell’ADSL.
Mettereste a casa vostra un lampadario imposto dalla compagnia elettrica, pagandolo anche caro e senza poterlo mai sostituire? Nessuno sarebbe disposto ad accettare una proposta simile. Eppure, parlando di collegamenti a Internet a banda larga, è proprio quello che sta accadendo in Italia.
Da qualche mese, infatti, si è intensificata, fino a diventare pratica diffusa, l’abitudine dei gestori telefonici di obbligare gli utenti all’adozione di un router proprietario. Apparato che in alcuni casi viene anche venduto a rate o tariffato con un canone di noleggio; ma in realtà si tratta di un apparato che resta sotto il controllo esclusivo dell’operatore e che soprattutto non può essere riconfigurato liberamente dall’utente né sostituto con un router di terze parti. Inoltre, in caso di cambio di gestore, il router diventa inutilizzabile e spesso, anche se si è abbonati da anni, va restituito con tutti i costi e i problemi logistici connessi.
Eppure una pratica di questo tipo è contraria alla normativa vigente in Europa, in cui la cosiddetta “libertà di router” è riconosciuta formalmente; come avviene anche in altri paesi dell’UE come la Germania e gli Stati Uniti. Le norme che decretano il diritto del consumatore di scegliere liberamente il proprio router non è un capriccio del legislatore, ma nasce da un’ampia serie di esigenze, che vanno dalla libertà dell’utente alla tutela della sicurezza dei dati, dalla possibilità di rispondere al meglio alle diverse necessità di prestazioni alla possibilità di cambiare gestore facilmente.
Nell’era dell’ADSL era chiaro a tutti, gestori e utenti, che i cittadini potessero scegliere liberamente il proprio router; e infatti così accadeva, pur essendoci la possibilità (ma non l’obbligo) di adottare eventualmente un apparato offerto o noleggiato dal gestore. Il passaggio alla fibra ha cambiato le cose, senza un vero motivo, almeno nell’ottica dell’utente: pur essendoci degli standard di comunicazione assolutamente condivisi e codificati, i gestori hanno reso le proprie connessioni in fibra compatibili solo con i propri apparati, senza condividere con l’utente i parametri per la configurazione di apparati terzi.
Ovviamente, installando in casa dell’utente il router “intruso”, il gestore telefonico si trova in una posizione di forza impropria, per esempio nel proporre a tappeto su tutta la propria utenza alcuni servizi di pay TV in streaming che altrimenti non avrebbero analoghe possibilità di diffusione; oppure nello sfavorire il passaggio ad altro gestore. Inoltre, l’apparto in questione viene spesso associato a vincoli contrattuali molto lunghi, anche ben oltre i 24 mesi previsti come massimo dal ddl Concorrenza: l’utente non attento anche alle note microscopiche delle condizioni contrattuali, scopre solo al momento in cui decide di cambiare gestore, che è soggetto a penali e altre incombenze per una rescissione anticipata.
Senza entrare in dettagli troppo tecnici, ci sono tanti motivi per i quali il router imposto dal gestore è dannoso e improprio. Ecco un elenco dei più significativi:
– È una grave limitazione della libertà dell’utente – Sul libero mercato ci sono router di qualità e affidabilità anche molto diversa e che integrano altre funzioni (Wi-Fi a range e velocità potenziati, numerosità delle porte, porte USB per il collegamento di dischi e stampanti, e così via); spesso questi apparecchi si adattano molto meglio del router “obbligatorio” alle diverse esigenze degli utenti. Essere vincolati a un router che non si vuole significa avere prestazioni distanti dalle proprie esigenze;
– Non si usa tutta la potenzialità della rete – Spesso, a fronte di connessioni in banda ultra-larga a 100 Mbit/sec o anche a 1 Gbit/sec, i router dei gestori potrebbero non essere in condizione di fornire prestazioni da top di gamma. Ne risulta che le prestazioni reali della connessione, sia per via cablata che wireless, sono inferiori a quelle ottenibili con la medesima linea e apparati di alta qualità;
– Aumenta la difficoltà a cambiare gestore – Il router imposto da un gestore generalmente non è utilizzabile con la rete di un nuovo provider. Inoltre intervengono i vincoli contrattuali (anche fino a 48 mesi e quindi illegittimi), spesso legati alla rateizzazione dell’hardware più che alla connessione vera e propria, ad impedire un cambio di gestore che spesso corrisponde anche a un risparmio e/o a un aumento di prestazioni.
– Si apre una breccia enorme alla sicurezza – Poichè i router dei gestori tutti uguali e configurati serialmente, l’identificazione di una vulnerabilità diventa una facile porta di ingresso verso tutte le reti locali e i dati degli utenti da parte dei malintenzionati, come già successo diverse volte in passato proprio con i router ADSL di proprietà dei gestori.
– La privacy non esiste più – Il router imposto dal gestore, che ne ha il pieno controllo, apre anche scenari inquietanti sul fronte della privacy: infatti il gestore (o chi dovesse entrare nel suo sistema) potrebbe facilmente controllare quali apparecchi di casa sono connessi, che tipo di traffico fanno, con che abitudini, a scopo di profilazione; e anche – di conseguenza – determinare se la casa è presumibilmente presidiata o no, con i rischi connessi in caso di compromissione della sicurezza dei dati. Oltre a ciò, quando un file circola nella rete locale (ad esempio un documento banale che viene inviato alla stampante wireless), i dati passano attraverso un apparato che fa parte della rete pubblica e su cui l’utente non dispone pieno controllo.
– La neutralità della rete è a rischio – Il router sotto il totale controllo del gestore e senza possibilità da parte dell’utente di verificarne la configurazione, rende il servizio non più “neutro” nei confronti dei diversi servizi. Per esempio, il router può essere configurato dal gestore per privilegiare le connessioni verso determinati servizi (per esempio una particolare piattaforma pay di video streaming) e penalizzarne altri.
Cosa bisognerebbe fare in Italia per tornare al router libero?
Il tema è già entrato nelle aule parlamentari anche in Italia, e per certi versi parrebbe che l’attuale legislazione tuteli già il principio del router libero. Ma gli Internet provider italiani hanno “forzato” l’interpretazione, identificando il router non tanto come un apparato di proprietà e di libera scelta e configurazione da parte dell’utente, ma come ultimo terminale della rete pubblica, su cui è necessario che il gestore abbia il pieno controllo per garantire il buon funzionamento della rete. Ovviamente, questa interpretazione è impropria e strumentale a non far ricadere il router imposto nelle fattispecie sanzionate dalla normativa europea.
Per questo motivo si ritiene che AGCOM, nell’ambito della propria attività di regolatore, operando a favore della tutela dei cittadini e dei loro diritti digitali, debba sancire che il router non è un nodo della rete pubblica ma debba essere considerato piuttosto il primo apparato della rete locale, e quindi sotto il controllo dell’utente. Come peraltro sia la logica che la collocazione evidente all’interno delle mura domestiche suggeriscono. In pratica, va sancito il confinamento della rete pubblica (sulla quale ha senso che il gestore abbia il pieno controllo) fino alla borchia di rete fibra-rame e non all’apparato; il router è e deve restare il cuore della rete locale sulla quale l’utente non può che avere il pieno ed esclusivo controllo.