Kireeti Kompella, chief technology officer – development & innovation team di Juniper Networks, ci guida alla scoperta del Self Driving Network.
– Da dove nasce l’idea del Self Driving Network?
Vivo vicino alla sede di Google e ogni giorno vedevo le auto a guida autonoma che sono basate su una tecnologia complessa e mi sono detto che anche il networking è complesso ma è manuale e allora dobbiamo renderlo più facile.
E questo vale in generale: l’intera rete deve funzionare e deve essere flessibile. È un imperativo che deve anche essere economicamente sostenibile, non ci sono scuse, la rete deve funzionare.
– Questa è l’idea ma l’implementazione è sicuramente complessa.
Sì, lo è, ma la buona notizia è che ci sono cinque tecnologie già disponibili per arrivare al Self Driving Network (SDN).
Intanto l’intent based networking, che è molto conosciuta, io stesso l’ho utilizzata per cinque anni; poi la telemetria, che significa avere maggiori informazioni sulla rete in real time e più accurate, il che consente di essere predittivi; la terza è “correlation” che mette in relazione i dati e le informazioni e permette di prendere decisioni e di agire; infine il processo decisionale richiede machine learning e l’azione, l’automation.
Noi abbiamo utilizzato queste tecnologie per molti anni, tranne il machine learning, che è una novità e per il quale stiamo lavorando per sviluppare la nostra proposta.
Per cui il Self Driving Network non sarà disponibile in sei mesi, non succederà in un attimo, ci vorrà del tempo ma non stiamo cominciando da zero, abbiamo già una forte base tecnologica.
– Non partite dal nulla ma avete già anni di esperienza e competenza.
Il SDN è come un anello chiuso. Già oggi il networking ha una forte componente automatizzata, ma non completamente.
Per esempio, le operation non sono automatizzate.
C’è un’interessante statistica che prepariamo un paio di volte all’anno da cui emerge che le aziende per ogni Dollaro che investono nella rete ne spendono tre o quattro per le operation.
Ridurre quella quota di spreco è un imperativo economico.
E non va dimenticata la sicurezza. Ogni volta che emerge una falla nella sicurezza c’è un indicatore che segnala un’anomalia, ma è mescolato assieme ad altri innumerevoli dati, tra i quali è difficile scegliere quelli più significativi.
Il nostro obiettivo è usare il machine learning per scegliere, tra tutti i dati, quelli più importanti sui quali deve intervenire un operatore; più questa selezione sarà accurata, migliore sarà la qualità del lavoro umano.
L’obiettivo è automatizzare tutto, ma nel frattempo possiamo mettere i tecnici in grado di lavorare meglio. Inoltre, non solo si può ridurre la spesa in operation, ma anche renderle più efficienti.
– Secondo Lei le aziende possono alleggerire le persone dalle attività quotidiane per dedicare tempo allo sviluppo di applicazioni?
Ogni volta che si automatizza un processo si creano nuovi lavori.
Le persone sono davvero preoccupate dalla diffusione del machine learning e della robotica, ma si ci sarà l’opportunità di lavorare a un livello superiore.
Io credo che avremo una situazione con un network operator che lavorerà a un alto livello e poi avremo un’attività di supervisione sull’intelligenza artificiale per essere sicuri che prenda le giuste decisioni.
– Cosa intende quando dice che non è oggi ma ci si arriverà in breve tempo?
Non siamo ancora pronti, se guardiamo al self driving car è un progetto avviato dalla DARPA nel 2004 e anche se sono stati fatti progressi non siamo ancora pronti, si dice che la commercializzazione dei veicoli ci sarà nel 2020.
Per quanto riguarda il Self Driving Network io credo che tutta la tecnologia sarà disponibile e integrata nell’arco di cinque anni.
Non ci interessa “la tecnologia per la tecnologia”, ma la tecnologia che risolve i problemi.
– Nel frattempo come si va avanti, quali i passaggi intermedi?
Oggi si parte dalle operazioni manuali. Il primo passo è la “visualization”; il secondo la “prediction”; il terzo è “recommendations”, nel quale uomini e macchine lavorano assieme; l’ultimo è l’autonomia, nel quale la rete si gestisce in modo completamente autonomo.
Credo che siamo ancora lontani da ciò, culturalmente distanti.
– Ci saranno anche problemi culturali, di formazione delle persone?
Le competenze sono un problema, oggi non ci sono abbastanza persone con gli skill necessari, serviranno nuove competenze.
– La sicurezza è uno dei grandi problemi che ha un effetto sulla vita quotidiana delle persone. Come lo si può affrontare?
La sicurezza è il più urgente dei problemi in una rete. Un dispositivo che non funziona o un link disattivato si possono affrontare tranquillamente, ma quando c’è un’intrusione nel network o i clienti non possono accedere ai servizi questo è prioritario e va risolto rapidamente.
E qui va tenuto conto che se l’attacco è condotto con delle botnet e la difesa è affidata a persone, l’uomo è destinato a perdere. Ci vogliono machine learning e intelligenza artificiale.
Inoltre, stiamo entrando nell’era dell’Internet of Things, qualcuno dice che ci siamo già ma secondo me non l’abbiamo ancora vista. Quello che è certo è che certe situazioni non possono essere gestite manualmente.
La rete deve sapere cosa è normale e cosa no, bisogna avere costantemente tutto sotto controllo e serve una grande massa di dati e di analytics.
– Quali saranno i settori più rapidi nell’adottare il Self Driving Network?
Prendiamo come esempio i Service provider e le imprese.
I primi sono portati a pensare che il network sia il loro business e che hanno le persone con le competenze adeguate e quindi saranno un po’ più riluttanti.
Per le imprese la rete è un mezzo, sono interessate al business non alla rete, per cui reagiranno prima.
E probabilmente le più interessate saranno le piccole e medie imprese.
I cloud provider probabilmente si muoveranno singolarmente verso il SDN e i primi che lo faranno avranno un vantaggio competitivo sui concorrenti.