Intervistiamo Joy Marino, Presidente del MIX, principale snodo del traffico Internet in Italia, che ci racconta i trend in ambito datacenter e il progetto Open Hub Med.
– Quale osservatore privilegiato, come interpreta l’esponenziale crescita dei dati e, conseguentemente, il progressivo incremento delle risorse necessarie a gestirle? Quali le ricadute in ambito telecomunicazioni e datacenter?
La legge di Moore (sulla crescita esponenziale dei componenti su un chip di silicio) è del 1975: sono più di 40 anni che siamo a bordo di questo “ottovolante esponenziale”, non cominceremo a spaventarci adesso. I costi in un sistema che cresce esponenzialmente crescono, ma in misura minore, con il risultato netto che il costo unitario tende a zero. È il futuro ottimistico che Rifkin ha preconizzato a più riprese.
Possiamo interpretare questa congiunzione di crescita esponenziale e costi decrescenti anche come una sequenza di soglie, di barriere che vengono raggiunte e superate: ogni volta che i costi (unitari) cadono al di sotto di una data soglia viene abilitato un nuovo servizio, o un nuovo modo di utilizzare la tecnologia. Video-on-demand, BigData, genomica, si tratta sempre di nuovi usi resi possibili dal superamento delle soglie di costo.
In parallelo alla crescita esponenziale in ambito microelettronico c’è stata la crescita esponenziale resa possibile dall’optoelettronica, che ha dato vita al sistema globale di telecomunicazioni come oggi lo vediamo: si stenta a credere che qualche decennio fa vivessimo in un regime di penuria di comunicazioni, si pensi al costo di un telegramma o anche di un SMS!
– Quale presidente del MIX, ci può dettagliare quali peculiarità vanta una simile infrastruttura? Quali gli aspetti strategici a livello nazionale?
Confesso che rimango un po’ spiazzato quando ci si riferisce a MIX come una “infrastruttura”, sebbene in una qualche misura lo sia: tra l’altro siamo l’unico Internet Exchange Point (IXP) in Europa basato su un proprio datacenter, cosa che ci ha aiutato quando si è trattato di ottenere le più alte qualificazioni di qualità, sicurezza ed affidabilità.
MIX è [a mio parere] soprattutto un servizio, ed un servizio talmente importante che se non esistesse bisognerebbe inventarlo! Lo vedo come un catalizzatore di interscambi, come un facilitatore che riduce le frizioni che inevitabilmente nascono nel funzionamento di un meccanismo complesso come Internet. L’analogia più usata e abusata è quella della “piazza del mercato”: nel perimetro di MIX si incontrato tutti i soggetti che hanno a che fare con le comunicazioni via Internet, sia quelli simili tra loro come gli operatori di accesso, sia quelli complementari come i “Content Provider” o i grandi aggregatori globali (“Social Networks”, “Over The Top”, …).
Per tutti questi svolge una funzione essenziale di ottimizzazione dei percorsi lungo i quali scorrono i dati scambiati, ma anche una funzione di facilitazione del mercato. In questo senso ha anche un ruolo strategico a livello nazionale, perché permette di confinare i flussi di dati all’interno dell’Italia, con quel ne consegue in termini, ad esempio, di applicazione delle leggi sulla Privacy.
Tra le peculiarità di un IXP vorrei sottolineare il delicato equilibrio tra apertura, essere “open”, ed essere di fatto in situazione di monopolio naturale.
Mi spiego meglio: essere neutrali, essere “open” è un requisito a priori, necessario per essere credibili nei confronti dei potenziali fruitori del servizio del IXP (la “interconnessione”). La tendenza ad essere unico consegue dall’interesse dei potenziali clienti a collegarsi laddove c’è il maggior numero di altri soggetti con cui desiderano scambiare traffico.
Essere, di fatto, “not for profit”, così come godere della fiducia dei clienti, guadagnata nel corso di tanti anni, essere stabili per composizione societaria e capacità di investire in proprio, sono tutti elementi che rafforzano la posizione di MIX.
Infine, in termini di strategia nazionale, posso dire che MIX è un IXP “medio” a livello europeo: i principali IXP del continente sono in Olanda, in Germania in UK. Negli ultimi anni siamo cresciuti ad un ritmo mediamente più alto degli altri: non abbiamo chiuso il gap con i maggiori ma, in qualche modo, “teniamo botta”, pur in mancanza di una strategia nazionale che ci aiuti. Il nostro mondo non è poi molto diverso da quello del traffico aereo: in passato non aver puntato su un hub aeroportuale unico per l’Italia ha portato alla marginalizzazione di tutti i principali scali italiani rispetto ai principali hub europei. Non deve succedere lo stesso per gli snodi di Internet.
– Si è parlato “di geografia e di interconnessioni”, a Suo avviso, quale legame esiste nel mondo moderno tra queste due realtà?
Siamo passati dalla geografia dei popoli e dei territori, dove le carte geografiche parlavano di confini, di barriere che separano, ad una geografia di flussi e interconnessioni, dove i popoli si muovono e si confondono, dove si auspica che i conflitti siano composti dalla comunicazione e dall’integrazione commerciale. Soprattutto un mondo dove persone, merci e informazioni si muovono incessantemente e con sempre minore frizione (costi, limitazioni, frontiere, dogane, etc). Le carte geografiche dovrebbero dare evidenza di tutto questo, rappresentando le arterie del mondo interconnesso: strade, aeroporti e vie aeree, porti e vie marittime, cavi in fibre ottiche e snodi della Rete.
– Il progetto Open Hub Med, rappresenta il primo hub neutrale per lo scambio del traffico Internet nel bacino del Mediterraneo, ci spiega quali sono i fattori che hanno determinato la scelta della sede a Carini? Quali vantaggi offrirà la struttura agli operatori nazionali e internazionali di telecomunicazioni?
Magari fosse il primo (in ordine di tempo) hub neutrale del Mediterraneo! In queste cose noi italiani rischiamo di arrivare sempre tra gli ultimi, come per altro si rileva da tutti i benchmark relativi ad Internet che vengono pubblicati in ambito OCSE. È proprio per colmare un gap molto sentito che alcune imprese si sono rimboccate le maniche ed hanno dato vita a OHM, con l’auspicio di arrivare ad essere tra i primi (per dimensione) del Mediterraneo. Sicuramente siamo i primi in Italia, e auspichiamo che questo approccio si dimostri vincente e sia possibile estenderlo e replicarlo in altri snodi dove il nostro Paese si affaccia sul Mediterraneo.
La prima scelta non poteva che cadere sulla Sicilia, perché essa è da sempre, per motivi legati alle geografie passate e presenti, il principale punto di passaggio dei flussi internazionali, nel nostro caso per quanto riguarda le fibre ottiche, i “cavi di Internet”.
Carini è stato il passo successivo: perché è molto vicino a Palermo e Mazara del Vallo, dove “atterrano” molti dei cavi sottomarini, e perché l’infrastruttura di Italtel è un’opportunità unica e imperdibile. Potrei citare altri esempi di recupero di aree industriali per servizi di Datacanter: è successo in Francia con Alcatel ed in Italia con Aruba nelle aree di UnoAErre, per fare solo qualche esempio. Ed aggiungerei che il centro M. Bellisario di Carini è anche un patrimonio culturale di questo Paese che la nostra iniziativa aiuta a traghettare nel nuovo secolo.
I vantaggi che gli operatori nazionali ed internazionali ben riconoscono sono quelli della completa neutralità, che implica parità di condizioni (“a level playing field”), garanzia indispensabile affinché ogni soggetto sia garantito nelle sue scelte e nei suoi investimenti.
– Secondo una sua affermazione, “Open è la parola chiave dell’intero ecosistema Internet”, quali implicazioni comporta questa linea di pensiero in un mondo sempre più digitalizzato e data-driven?
Un mondo dove tutte le informazioni sono in forma digitale e, soprattutto, sono connesse in reti è al tempo stesso meraviglioso e terribile: è possibile estrarre “pattern” che rendano migliore la vita per tutti, dalla cura delle malattie genetiche alla disintermediazione tra produttore (del terzo mondo) e consumatore. Ma è anche il mondo dove “l’effetto-rete” consente a chi controlla milioni di utenti di avere un potere sterminato. “Open” è uno degli antidoti che questo mondo ha a disposizione per continuare ad essere a prova di futuro: cioè per essere in grado di mantenere un equilibrio tra grandissimo e piccolo, tra innovativo e conservatore. Senza antidoti rischiamo di avvitarci inesorabilmente verso monopoli ancora più potenti ed invasivi di quelli delle precedenti rivoluzioni industriali.
Da essere “open” consegue che anche a distanza di decenni (o secoli!) si potrà continuare a decodificare i formati dei dati che sono stati archiviati. Se le piattaforme che si usano sono “open” si potrà interoperare con nuovi dispositivi o con nuove modalità di fruizione dei dati. Se le reti sono interoperabili sarà sempre possibile passare da un operatore all’altro con costi contenuti, nessun utente sarà ostaggio di un servizio esclusivo. Se uno snodo ella rete è “open” significherà che non ci sono discriminazioni all’accesso per nessuno, e quindi non solo garantirà parità di condizioni, ma anche garantirà che nel suo perimetro ci sarà sempre un’ampia varietà di operatori di servizi. A loro volta i soggetti interessati minimizzeranno i rischi di investimento andando a connettersi presso uno snodo che sia “open”.