Le piattaforme cloud e il business

Quanto il cloud stia modificando il modo di pianificare e gestire le attività aziendali è sotto gli occhi di tutti, ma qual è il livello di adozione del cloud nel nostro Paese?

Stefano Sordi, Direttore Marketing di Aruba, ha recentemente rilasciato alcune stime riguardanti il mercato del cloud computing, attualmente in fase di forte evoluzione. Il cloud si è evoluto nel corso dell’ultimo anno e si sta sempre più conformando al tipo di aziende che serve, modificandosi a seconda del livello di maturazione dell’IT aziendale, dell’evoluzione di processi business-IT-business e della tipologia di achitetture legacy in uso presso le aziende.
Senza dubbio il cloud sta rappresentando una sfida sempre più importate per le aziende e i suoi CIO e CTO, costringendoli a ripensare processi e strategie che necessariamente dovranno tenere conto dell’esistenza di questa tecnologia ormai accessibile a tutti, competitor nuovi e futuri, vista l’ampia diffusione che sta avendo. Nel nostro Paese chi aveva infrastrutture dedicate si sta preparando, attraverso roadmap di legacy transformation, a poter integrare in modo fluido processi flessibili e automatici alla base del cloud computing. Inoltre, si sta di fatto lavorando alla definizione della cosiddetta “cloud enabling infrastructure”, come qualcuno la definisce, ossia l’insieme dei processi e dei componenti che interessano l’ambito infrastrutturale, applicativo e d’interazione degli utenti aziendali con le piattaforme IT.

E’ ormai consolidata l’abitudine di non ricorrere più a soluzioni on premise, salvo in casi particolari, principalmente per non sobbarcarsi di eccessivi oneri di gestione dell’infrastruttura fisica, che con il cloud ricadono al 100% sul provider. Riguardo alla sicurezza, in generale all’inizio potevano esserci delle remore, ma quando le aziende hanno capito che i propri dati erano custoditi in data center ben definiti, almeno per ciò che concerne il modello Aruba, e gestiti da professionisti esperti in grado di occuparsi proattivamente e autonomamente della gestione dell’infrastruttura, hanno iniziato ad adottare il cloud sia pubblico sia privato senza questo retropensiero.
La liberazione dall’infrastruttura fisica rappresenta un passaggio epocale: invece di costruire la propria infrastruttura IT, il 40% delle aziende italiane sta puntando sul cloud computing in modo da sfruttare le risorse informatiche ospitate da terze parti.
A renderlo noto è la relazione Eurostat sull’uso dei servizi cloud nelle aziende dei Paesi di tutta Europa, la stessa che pone l’Italia in cima alla classifica, seconda solo alla Finlandia.
Considerando che la media europea si attesta sul 19%, è facile rendersi conto di come l’Italia possa essere considerata all’avanguardia sull’argomento: nel corso dell’ultimo anno Aruba ha riscontrato una crescita notevole relativamente all’adozione del cloud da parte di piccole e medie imprese e l’elemento di novità è che, mentre in passato la tipologia di azienda che più di altre si orientava al cloud era la large enterprise, dalla seconda metà del 2013 le PMI hanno iniziato ad orientarsi al cloud in modo deciso. Tale dato ha una doppia lettura: da una parte è dovuto al fatto che Aruba ha acquisito più visibilità sul mercato, creando uno specifico focus sul tema cloud e cercando di sensibilizzare un pubblico sempre più vasto relativamente a questo prodotto (portando anche in televisione un servizio poco mainstream quale la tecnologia cloud). Dall’altra parte, il cloud ha subito una vera e propria evoluzione, diventando più appetibile anche per le PMI soprattutto in termini di costi.
La fascia più dinamica e meno esigente va ad occupare la fascia di cloud pubblico, dove con diverse declinazioni dell’offerta si offre al cliente la possibilità di crescere e decrescere rapidamente con un impegno estremamente basso.
Di anno in anno cresce la consapevolezza delle aziende nei confronti di ciò che è il cloud e cosa rappresenta per il proprio business. Non si tratta di un traguardo da poco, come evidenziano i dati Sirmi dello scorso anno che lo vedono come un mercato che in Italia vale oltre 800 milioni.