Bill Fathers, Executive Vice President e General Manager Hybrid Cloud Services di VMware, analizza gli scenari più moderni in materia di cloud applicato al business.
Qual è la domanda di cloud ibrido oggi? C’è un uso eccessivo o vago del termine che genera confusione tra i clienti?
Bill Fathers: Il problema è stato superato circa 18 mesi fa. Ora il passaggio al cloud è sempre più diffuso. Non si tratta di persuadere le aziende a scegliere l’ibrido ma semplicemente di spiegare loro cosa VMware può fare. In questo modo saranno le aziende stesse a scegliere un modello ibrido, perché desiderano poter avere agilità, sicurezza e prestazioni. Questo è proprio quello che offre VMware: proponiamo una soluzione di cloud privato unita a funzionalità ibride.
Non credo che i nostri clienti siano confusi rispetto a cosa è il cloud ibrido e ciò che abilita. Sanno esattamente ciò che vogliono e chiedono praticamente tutti la stessa cosa, dato che si rendono conto che il loro portfolio applicativo abbraccerà il cloud pubblico e l’ambiente on premise per i prossimi 10 anni.
Quello che cercano è l’approccio che li aiuterà a ottenere i risultati migliori in questo scenario, a trarre i massimi vantaggi nel confrontarsi con un contesto che sarà caratterizzato per diverso tempo dall’utilizzo ibrido. In sintesi, avranno bisogno di supporto rispetto agli aspetti commerciali che dovranno affrontare.
A partire dal background hardware, rispetto al quale avete investito molto nella costruzione del vostro data center, e confrontandolo con quello che fate oggi, ci sono delle differenze?
BF: La principale differenza è l’agilità. Quando si prova a costruire qualcosa da soli, bisogna impegnarsi per diversi anni nel lavorare sulle infrastrutture hardware sui diversi livelli. Non è possibile muoversi più rapidamente e nemmeno cambiare direzione.
Inevitabilmente, una tempistica guidata più lunga fa sì che l’infrastruttura sia pronta per l’ambiente di sviluppo e test. Se bisogna fare girare un’applicazione scalando verso l’alto in 30 secondi e poi di nuovo verso il basso appena finito e magari avere 10 istanze in contemporanea piuttosto che utilizzare lo stesso ambiente in serie, si perderanno mesi preziosi prima di essere sul mercato.
La principale motivazione nell’adozione del cloud ibrido, che rappresenta la combinazione perfetta di un cloud privato e un cloud pubblico off-premise tra i quali è posta la rete, è proprio la possibilità di ottenere il meglio dei due mondi. È effettivamente possibile spostarsi in molto più veloce, si guadagna molta flessibilità ed è possibile ottenere quello che serve solo per il periodo di necessità effettiva, come il Black Friday o il Cyber Monday, e poi farne di nuovo a meno.
Tutto questo significa che cambiare provider è facile?
BF: No, anzi, è molto difficile e costoso. La maggior parte delle aziende di grandi dimensioni risponderebbe così: “Non vincolatevi a un unico provider!”. Tuttavia, costruire un livello di estrazione di questo tipo è estremamente complicato e fuori dalla portata della maggior parte delle persone, a parte quelle che operano nelle prime 100 aziende del mondo. È molto difficile e può costare centinaia di milioni di dollari.
La nostra premessa fondamentale però è che finché il provider utilizzerà il nostro hypervisor ESX, si potrà affidare a qualunque del mezzo milione di fornitori di servizi nel mondo che utilizzano lo stesso software. Se si possiede quel livello tale da fornire il grado perfetto di estrazione, è possibile passare da un fornitore all’altro. Questa è la vera magia dell’hypervisor: la sua unicità nel modo in cui vengono estratte le applicazioni che vi si appoggiano e l’hardware sottostante. Rappresenta il cardine di quello che abbiamo ottenuto, la nostra essenza differenziante. Anche alcuni aspetti della rete ci vengono fortemente incontro ma la sostanza è tutta qui: come adottarlo, nel modo più conveniente e più efficiente possibile.
Come si stanno muovendo le aziende nel contesto del cloud? Esiste un trend comune o un tema che può evidenziare?
BF: Quello che abbiamo notato è il numero molto elevato di clienti che stanno sperimentando l’utilizzo del cloud pubblico per una serie di soluzioni specifiche o casi d’uso particolari. Quello che hanno scoperto è che i benefici che possono ottenere, per attività particolari come i test e lo sviluppo o per alcuni carichi di lavoro specifici come le applicazioni web, sono profondi ma limitati al carico di lavoro che hanno spostato.
Appena provato ad adottare il cloud pubblico in modo più completo all’interno dell’organizzazione, magari iniziando a sperimentare diversi cloud pubblici, i vantaggi cominciano a diminuire perché la complessità associata al tentativo di utilizzare più cloud pubblici supera i benefici. Ci si trova ad affrontare strumenti multipli di gestione e configurazioni multiple di rete e, improvvisamente, si finisce per avere bisogno del triplo del personale per gestirli, perché necessitano di persone in grado di capire gli stack Amazon, Azure e VMware.
Che tipo di evoluzione avrà il cloud? Tutti quelli che utilizzano il cloud ibrido si sposteranno sul privato per motivi di sicurezza e di controllo? O abbracceranno sempre più l’ibrido?
BF: I clienti hanno investito talmente tanto nell’installato che credo ci vorranno minimo 10-15 anni prima che il vento possa cambiare. Le nuove realtà che stanno iniziando ora il percorso verso il cloud non hanno gli stessi problemi di legacy. In Asia, ad esempio, vediamo clienti più aggressivi e capaci di indirizzarsi direttamente al cloud pubblico. Anche ora, che le aziende sono più mature, continuano ad avere nella propria infrastruttura una componente on-premise pura. Certo, le economie di scala sono migliori se si possiede il meglio di entrambi i mondi.
Qual è l’obiettivo di VMware rispetto al cloud? Volete guidare i vostri clienti verso il modello privato?
BF: Il cloud completamente privato rispetto al cloud pubblico è morto; ormai è diventato ibrido. I clienti vogliono l’unione di entrambi. Continueremo a posizionare questi due modelli come diversi e complementari, come se ognuno fosse una caratteristica dell’altro. L’approccio precedente ormai non è più valido.
Il punto ora è come porsi rispetto all’unione di questi due mondi in modo da ottenere il meglio da entrambi. Quanto più ci concentriamo su come farli funzionare insieme e su come presentarli come una singola risorsa condivisa, prima riusciremo a portare le aziende verso un livello di sviluppo successivo.
Ovviamente il nostro punto di forza sta nelle feature di vSphere – che nel cloud ibrido ci permette di essere leader, poichè nessuno possiede un hypervisor capace di fornire un tale livello di estrazione.
Le aziende devono reindirizzare il proprio personale IT rispetto a questo nuovo modo di pensare e allo sviluppo di nuove competenze?
BF: L’obiettivo entro il 2020 sarà quello di liberare il personale da alcune funzioni per portarlo in ambito IT. Coca Cola lo ha fatto con il proprio Chief Marketing Officer. Pepsi con il Chief Administration Officer. Abbiamo assunto da Microsoft Tony Scott che è diventato il nostro CIO. Prima era a capo di un’azienda esterna e Microsoft lo ha voluto come CIO. Questo è l’approccio. Innalzare il livello della discussione.
Chi lavora in una start up e inizia ad usare il cloud pubblico, perché dovrebbe passare a un cloud ibrido e non utilizzare semplicemente dei servizi offerti da quello pubblico?
BF: La maggior parte delle aziende che ha iniziato a utilizzare il cloud pubblico ha poi scelto di passare all’ibrido. Un esempio di alto profilo è Netflix, che è partita con Amazon per poi realizzare rapidamente che, principalmente per motivi economici, era meglio ricorrere al cloud privato per alcuni carichi di lavoro.
Una preoccupazione nasce dopo avere scelto il cloud pubblico: la sicurezza. Le aziende scoprono che non possono obbligare Amazon o qualunque altro provider a firmare un accordo prendendosi quella responsabilità che li renderebbe tranquilli dal punto di vista della sicurezza e del rischio. Il terzo aspetto è forse più emotivo, ma anche il più comprensibile: si tratta di affidare la propria infrastruttura mission-critical a un terzo, e significa avere un livello di fiducia e di “intimità” decisamente elevato rispetto a questa realtà esterna.