BSA, le lacune dell’Unione Europea in materia di cyber security

BSA, le lacune dell’Unione Europea in materia di cyber security

 

BSA, The Software Alliance, rende noti i risultati della prima ricerca sulle legislazioni nazionali dell’Unione Europea in materia di cyber security. Si tratta di un’analisi che individua diverse pericolose lacune e frammentazioni nella preparazione di alcuni Stati comunitari a bloccare le minacce informatiche.

Il rapporto valuta le leggi nazionali, i regolamenti e le politiche in tutti e 28 gli Stati membri dell’UE in relazione a 25 criteri ritenuti essenziali per un’efficace sicurezza informatica. Esso è destinato a fornire agli Stati membri dell’Unione europea uno strumento per valutare le proprie politiche in funzione di una serie di criteri chiave e a tracciare un percorso che contribuisca a delineare i principali elementi costitutivi di un forte quadro normativo sulla sicurezza informatica.

Thomas Boué, direttore policy di BSA EMEA
Analizzando le protezioni informatiche in Europa se ne trae un quadro in qualche modo irregolare. Infatti, la maggior parte degli Stati membri riconoscono che la sicurezza informatica è una priorità, eppure alcune incoerenze nel loro approccio lasciano l’intero mercato comunitario vulnerabile alle minacce. La direttiva Network and Information Security potrebbe aiutare a stabilire un più affidabile livello base di sicurezza informatica e di resilienza, se si concentrasse meglio nell’allineare la predisposizione alla sicurezza delle infrastrutture digitali più critiche in Europa e introducesse processi armonizzati di reporting e condivisione delle informazioni in tutto il mercato unico.

Tra i principali risultati della ricerca si evince che:
• la maggior parte degli Stati membri dell’UE riconoscono che la sicurezza informatica sia una priorità nazionale, in particolare per quanto riguarda le infrastrutture critiche.
• Esistono però discrepanze notevoli tra le politiche di sicurezza informatica degli Stati membri, i rispettivi quadri giuridici e le capacità operative, con conseguenti lacune nella sicurezza informatica complessiva dell’Unione Europea.
• Quasi tutti gli Stati membri dell’UE hanno istituito gruppi di risposta agli incidenti per affrontare gli attacchi informatici; tuttavia, obiettivi ed esperienza di tali team varia da Stato a Stato.
• C’è una preoccupante mancanza di cooperazione sistematica fra pubblico e privato e di collaborazione sulla sicurezza informatica tra governi dell’UE, enti non governativi e partner internazionali.
• Per quanto riguarda specificamente l’Italia, la legislazione nazionale è stata aggiornata nel 2007, poi nel 2013 e 2014 sono stati attivati piani di cybersecurity che garantiscono al nostro Paese un solido quadro regolamentare in materia. La strategia italiana sulla cybersecurity considera prioritarie le partnership pubblico-privato, ma finora nessuna forma di cooperazione in tal senso è stata ancora formalizzata. Tuttavia, nel 2014 è stato costituito il CERT-PA, Computer Emergency Response Team della Pubblica Amministrazione, struttura preposta al trattamento degli incidenti di sicurezza informatica del dominio costituito dalle pubbliche amministrazioni: certamente un passo nella giusta direzione.

La ricerca di BSA incoraggia pertanto gli Stati membri dell’UE a concentrarsi su quattro elementi chiave di un solido quadro giuridico di sicurezza informatica:
1. costruire e mantenere un quadro giuridico e politico globale basato su una strategia di sicurezza informatica nazionale che si completi con piani di sicurezza informatica specifici di settore.
2. Individuare enti con chiare responsabilità per l’operatività in campo di sicurezza informatica, di risposta agli incidenti e ai casi di emergenza.
3. Generare fiducia e lavorare in partnership con il settore privato, le ONG, i partner internazionali e gli alleati.
4. Promuovere l’educazione e la consapevolezza dei rischi e delle priorità in materia di sicurezza informatica.

Allo stesso tempo, il rapporto mette in guardia i governi europei dall’evitare inutili regimi protezionistici che possono minare, anziché migliorare, le protezioni di sicurezza informatica. In particolare, gli Stati membri dovrebbero:
• Evitare le richieste non necessarie o irragionevoli che possono aumentare i costi e limitare la scelta, tra cui forme di certificazione specifiche per un solo Paese o obblighi di compiere determinati test; mandati specifici per contenuti locali; richieste di divulgare informazioni sensibili, come codici sorgente o chiavi di cifratura e restrizioni sui diritti esteri di proprietà intellettuale.
• Invece di modificare gli standard, supportare standard tecnici definiti dall’industria di riferimento e riconosciuti a livello internazionale.
• Evitare leggi di localizzazione dei dati e garantire la libera circolazione dei dati in tutti i mercati.
• Evitare le preferenze per tecnologie autoctone che ostacolano la concorrenza internazionale e danneggiano l’innovazione globale.

Stando al Report, il nostro Paese ha aggiornato le leggi in materia nel 2007 e ha adottato piani per la sicurezza nel 2013 e 2014, introducendo un forte quadro giuridico a sostegno dei sistemi di sicurezza informatica.
Pur non esistendo cooperazioni formalizzate, la strategia italiana include una partnership pubblico-privato, con l’intento di incrementare la sicurezza nazionale.
La CERT-PA (Computer Emergency Response Team della Pubblica Amministrazione) è stata fondata nel 2014 ed è responsabile dei sistemi di allarme di sicurezza informatica e del coordinamento delle misure di risposta agli incidenti per conto del Governo e delle istituzioni.