
I data center di nuova generazione si spostano nelle città Tier 2 per essere più vicini alle imprese e rendere sostenibile la crescita digitale del territorio.
Sostenuta da PEIF III, un fondo gestito da DWS Infrastructure, Mediterra DataCenters è impegnata ad accelerare la crescita delle infrastrutture digitali regionali nelle città Tier Two – aree digitalmente strategiche dell’Europa meridionale, che pur non essendo fra i grandi hub metropolitani, sono dotate di un alto potenziale per lo sviluppo di infrastrutture digitali avanzate e rivestono un ruolo di primo piano per un’ampia gamma di clienti, hyperscaler e fornitori di servizi IT sul mercato. In particolare, l’azienda punta su efficienza energetica, recupero del calore e burocrazia semplificata per favorire l’innovazione. Per approfondire l’evoluzione dei data center e la loro localizzazione all’interno di Hub regionali nel nostro Paese, abbiamo incontrato Emmanuel Becker, Ceo di Mediterra DataCenters, che sta sviluppando la più completa piattaforma di Data Center Premium regionali per il Sud Europa.
– Quali vantaggi e sfide dalla realizzazione di data center Tier IV nel Centro Sud Italia?
Mediterra opera in Italia, Francia, Spagna e Portogallo. In Italia ha aperto con l’acquisizione di Cloud Europe – il primo data center dell’Italia centro meridionale compliant rating IV, ovvero con il livello più elevato di disponibilità del servizio ed un’operatività a ridotto impatto ambientale – ma ha in programma di aprirne altri nelle città Tier 2, sia al Nord sia al Sud. Le località sono state selezionate in base a tre criteri di densità: di popolazione, di PIL e di attori digitali (sia provider sia grandi utilizzatori di servizi digitali).
Emmanuel Becker
L’obiettivo dei data center premium regionali è portare i service provider (xSP Cloud, Content, AI, application, network, security service provider) nei diversi distretti digitali del territorio per avvicinarli alle aziende e non viceversa. La strategia di Mediterra è di permettere alle imprese di non dover per forza fare capo a Milano per avere i servizi tipici dei data center Premium, ma usare strutture più vicine alle loro sedi con lo stesso livello di servizi, favorendo gli xSP regionali oltre che gli international service provider.
– Come integrare riciclo del calore e rinnovabili per ridurre i costi energetici?
In Italia, il costo elevato dell’energia è un problema importante, tale da mettere in difficoltà sia le aziende del Paese, che devono essere competitive rispetto alle imprese che operano nelle altre nazioni europee, sia gli investitori nello sviluppo digitale. È importante sottolineare che nel nostro Paese l’energia può rappresentare fino al 70% del costo totale della colocation e che i costi energetici sono molto più alti rispetto a Spagna, Francia e Germania. Eppure, nonostante sia penalizzata dall’incidenza dei prezzi dell’energia, l’Italia è la zona a più intenso sviluppo dopo gli Hub consolidati delle FLAP-D cities (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino).
Per favorire la crescita dei data center è importante fare in modo che l’energia usata non sia sprecata, ma sia recuperata per essere utile in altri ambiti. Il caso più classico è il recupero del calore prodotto dal data center, che può essere impiegato sia per riscaldare le abitazioni (teleriscaldamento) sia per fornire energia termica ai processi produttivi delle aziende limitrofe.
Dal punto di vista pratico, attualmente è più facile e veloce fornire questo calore alle imprese manifatturiere piuttosto che ai sistemi di teleriscaldamento cittadini. Questi ultimi, infatti hanno tempi di realizzazione molto lunghi, dell’ordine di 10 – 20 anni. Brescia, per esempio, città che vanta una rete di teleriscaldamento che copre il 70% circa delle utenze, ha impiegato più di vent’anni per raggiungere questo risultato.
Per massimizzare l’utilizzo del calore è bene che i data center siano vicini ai distretti industriali, che a loro volta di solito non sono lontani dalle grandi città e dai cavi dati. Ecco, quindi, che si crea una sinergia positiva per la sostenibilità: i data center possono essere situati vicino alle città, alle dorsali in fibra e alle industrie, così da favorire il transito dei dati e il recupero del calore.
Emmanuel Becker
Mediterra è attiva anche con soluzioni sostenibili per il fotovoltaico, grazie all’installazione di pannelli sui tetti degli edifici dei data center, nelle zone non occupate da impianti di condizionamento. Sono sfruttati anche i parcheggi, grazie a pensiline solari. La potenza prodotta da questi impianti fotovoltaici è naturalmente limitata rispetto al fabbisogno energetico complessivo dei data center. (200 – 300 kW nel migliore dei casi contro 10 MW), ma è comunque utile per alimentare sia gli impianti ausiliari e di illuminazione sia le colonnine di ricarica per i veicoli elettrici. Per esempio, Mediterra sta ricoprendo ogni superficie utile del suo sito romano con pannelli solari, dando il suo contributo alla sostenibilità ed essere di esempio per gli altri marchi del settore.
– Quali semplificazioni normative servono per accelerare l’autorizzazione di nuovi data center in Italia?
Secondo le linee guida del MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), l’obbligo del VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) scatta quando il data center ha una potenza termica superiore a 50 MWt (MW termici), potenza calcolata in caso di disconnessione dalla rete, quindi con i generatori di backup attivi. Poiché un generatore diesel ha un’efficienza di circa il 40%, questo significa che la potenza utile di un data center che produce 50 MWt è di circa 20 MW.
Con i data center moderni è facile raggiungere e superare il limite dei 50 MWt, un limite che comporta un netto aumento della complessità delle pratiche autorizzative. Paradossalmente, questa norma è un incentivo a costruire data center sempre più grandi, anche maggiori di 100 MW, dato che l’iter burocratico non cambia oltre i 50 MWt. Si tratta di centri per gli hyperscaler, che operano a livello nazionale e internazionale. Mediterra punta però a uno sviluppo diverso: data center più piccoli, meglio distribuiti sul territorio, veri digital hub ideati e localizzati per servire le imprese e gli utenti.
Le istituzioni italiane sono sempre più attente alle esigenze normative degli operatori di data center, perché hanno capito che questi centri sono i motori propulsivi della nostra economia, sia perché soddisfano la domanda delle imprese sia perché generano nuovi posti di lavoro.
C’è effettivamente uno sforzo delle autorità per semplificare l’iter burocratico autorizzativo, ma la strada è ancora lunga. L’ideale sarebbe un sistema come quello spagnolo, in cui gli operatori interagiscono con un solo riferimento, non con diverse figure come è il caso dell’Italia. Nel nostro Paese può accadere che le responsabilità tra amministrazioni non siano chiaramente definite, con il rischio che i procedimenti autorizzativi subiscano interruzioni improvvise. Ad esempio, Mediterra ha dovuto recentemente abbandonare un progetto regionale a causa di un’eccessiva complessità burocratica.
– In che modo servizi di connettività aggiungono valore rispetto alla sola colocation?
Un data center è un hub di calcolo, storage e connettività, le sue tre caratteristiche più importanti. La connettività, in particolare, è un pilastro fondamentale e si realizza attraverso servizi chiave come gli Internet Exchange (IX), la carrier neutrality e le reti definite dal software (SDN – Software Defined Network). Lo scambio dei dati è, infatti, alla base di ogni transazione commerciale digitale e un data center deve essere dotato delle connessioni Internet necessarie per soddisfare appieno le esigenze dei propri clienti.
Mediterra si impegna a essere carrier neutral, così da lasciare il cliente libero di scegliere il servizio di connettività che preferisce, per una vera pluralità e diversità del servizio. Per quanto riguarda il Software Defined Network, il marchio sviluppa un collegamento SDN tra i suoi data center per consentire ai clienti di usare reti remote come fossero locali, grazie a uno strato software di virtualizzazione.
– Quale impatto avrà la regionalizzazione dei cavi sottomarini sul posizionamento competitivo dell’Italia?
Oggi il 95 – 98% del traffico dati mondiale transita nei cavi sottomarini. I cavi sono quindi abilitatori degli scambi economici, che ormai sono sostanzialmente solo digitali. Di conseguenza, un Paese che ospita sul suo territorio i terminali di questi cavi beneficia di un importante indotto di servizi digitali e acquista visibilità e importanza internazionali. Esempi di questa crescita sono Marsiglia, Singapore e più di recente Genova, città che ospita i terminali dei cavi BlueMed (Italia, Francia, Grecia, Israele), 2Africa (Africa, Asia, Europa), Medloop e del recente Unitirreno, che corre lungo il Mar Tirreno dalla Sicilia alla Liguria, diramandosi a Olbia e a Roma. In sostanza, quindi, sviluppare nuovi cavi sottomarini in Italia significa creare nuova economia e rinforzare lo sviluppo digitale del Paese.
È interessante notare che, quando si stendono nuovi cavi sottomarini, la determinazione del loro percorso è influenzata non tanto dalla lunghezza del cavo vero e proprio quanto dall’importanza dei nodi Internet dove posizionare i terminali di approdo. In altre parole, è meglio un cavo più lungo che collega città importanti piuttosto che uno corto che parte e arriva in centri dotati di connessioni Internet limitate.
I cavi sottomarini sono molto più sicuri degli equivalenti terrestri, perché sono meno soggetti a interruzioni dovute a incidenti, inoltre seguono tracciati più diretti, perché un cavo terrestre deve girare intorno a paesi e costruzioni varie, quindi deve correre lungo un percorso molto tortuoso e più lungo. Per esempio, la distanza in linea d’aria da Milano e Rho è di circa 10 km, mentre il cavo in fibra che connette i due centri è lungo 21 km.
Di conseguenza, la Sicilia e la Puglia, regioni situate in posizioni geograficamente molto favorevoli per creare connessioni sottomarine con l’Africa e il Medio Oriente, sono in realtà usate solo per collegamenti intermedi, perché non hanno città sviluppate digitalmente come Genova, che ormai è l’hub più importante per l’Italia. Mediterra è comunque convinta che le regioni del Sud Italia si svilupperanno da questo punto di vista, e questo è uno dei motivi per cui l’azienda vuole localizzare lì alcuni suoi data center.
– Come l’AI influenzerà il design dei data center futuri?
La tendenza più attuale per l’intelligenza artificiale applicata alle aziende è la specializzazione, ovvero lo sviluppo di modelli LLM verticali, specifici per settori come la ricerca farmaceutica, la chimica, la finanza. Queste AI specializzate sono molto più efficienti ed efficaci di quelle generaliste, ma hanno esigenze di hardware, di storage e di connessione diverse le une dalle altre.
Quindi i data center dovranno evolversi rapidamente per tenere il passo con queste tecnologie, che ormai si rinnovano ogni sei mesi circa. Nel prossimo futuro, i data center generici, adatti a tutti i tipi di utenti, non saranno più la scelta ottimale e dovranno quindi cedere il passo a strutture più agili e adattabili, capaci di accettare in maniera rapida e relativamente economica nuove macchine con nuove GPU e nuovi sistemi di storage, con connessioni sempre più performanti.
Emmanuel Becker
La vera difficoltà dei designer di data center è progettare un edificio che deve durare almeno trent’anni e che deve adattarsi a cambiamenti hardware e strutturali importanti e frequenti. Serve quindi flessibilità, per esempio per implementare nuovi sistemi di raffreddamento. È perciò necessario investire in strutture, personale e formazione. Questi investimenti faranno lievitare i costi di costruzione e di gestione dei data center, che comunque sono e saranno essenziali per la crescita economica delle aziende e del territorio.